Questo articolo è uscito sul periodico il Lametino lo scorso 23 ottobre 2010.
La disonestà di alcuni politici è innata o viene “indotta”?
Jean-Jacques Rousseau, grande pensatore francese, credeva che gli esseri umani fossero buoni per natura e che fosse la società a corromperne la morale, spesso trasformandoli in persone poco raccomandabili come ladri ed assassini. Thomas Hobbes, filosofo inglese, al contrario riteneva che l’uomo fosse malvagio sin dalla nascita e che la società riusciva, almeno il più delle volte, a contenere il temperamento poco propenso alla morale con regole molto rigide. Quello del bene e del male è un dibattito che si protrae ormai da diversi secoli: recentemente, la Psicologia sociale ha dato una spiegazione più chiara e basata su dati scientifici. L’uomo, in base alle circostanze, è capace allo stesso modo di compiere sia atti di assoluto altruismo che di raccapricciante atrocità. Non esiste, dunque, una propensione innata alla bontà o alla malvagità: sono le culture, le situazioni e le emergenze a dettare le regole.
Ora, come si può ben capire, questa non è la sede più adatta per un discorso filosofico sul Bene e sul Male: c’è, tuttavia, un’applicazione di questi concetti che ben si adegua all’argomento che questo articolo vorrà trattare. Ormai da diversi anni siamo abituati a dire (o, almeno, a sentir dire) che “i politici sono ladri”. I fatti di cronaca testimoniano che molti politici sono lungi dall’essere un buon esempio per la nostra società e che spesso e volentieri si occupano di tutto tranne che dei cittadini che li hanno votati. Quella del politico è una figura essenzialmente controversa che sta perdendo tutto il rispetto che poteva vantare fino a qualche tempo fa e l’enorme calo nell’affluenza al voto lo testimonia. Il problema, non solo italiano, è abbastanza grave e vede la nostra regione occupare una posizione non molto incoraggiante nella classifica. Da una parte è vero che il disinteresse nei confronti della politica è esagerato, ma dall’altra bisogna ammettere che i politici fanno poco, troppo poco, per rendere la popolazione più partecipe.
A questo punto, c’è da chiedersi se dietro ad un politico disonesto c’è sempre stato un comune cittadino altrettanto disonesto o se, al contrario, è la politica a corrompere le persone. Gli stereotipi, in quanto tali, nascondono l’insidia di essere troppo poco accurati e fin troppo generici: quello del “politico ladro” è dunque uno stereotipo legittimo da considerare? Tralasciando volutamente gli scandali più gravi, un’analisi molto attenta del problema si può limitare tranquillamente alla negligenza, alle promesse mancate, e tutti quei comportamenti che inducono l’uomo politico a non fare le cose per le quali è stato votato.
La domanda trova parte della sua risposta nel sistema clientelare, quel sistema di scambi, favori e, perché no, anche ricatti che porta la negligenza di tutti i politici coinvolti nel sistema a danneggiare i cittadini senza che essi se ne rendano conto. Nel campo della sanità, tanto per fare un esempio, bastano pochi favori e contatti per occupare tutte le scale della “piramide” che parte dal politico ed arriva al cittadino: dall’Assessore alla Sanità si passa al primario, dal primario ai medici e dai medici i cittadini. Se, all’inizio, la figura incompetente era una, lo schema piramidale porta i cittadini a pagare le conseguenze della presenza di tante persone poco qualificate, che hanno “meritato” la loro posizione solo grazie agli scambi e ai favori. L’incompetenza non è l’unico svantaggio: il sistema clientelare congela anche lo sviluppo con premi inesistenti per i meritevoli e si tiene lontano dalle innovazioni che lo potrebbero danneggiare. Che senso ha dare più importanza al medico competente, figlio di nessuno, piuttosto che al medico incompetente figlio del tale al quale un po’ tutti i dipendenti devono il loro lavoro? Il discorso, applicato nell’esempio al settore sanitario grazie ai non pochi grattacapi che ultimamente sta facendo venire, si applica tranquillamente a qualsiasi altro settore, dimostrando che la concezione comune di distacco tra politica e cittadinanza è da rivedere dato il modo con cui i difetti della prima riescono a penalizzare, automaticamente, la seconda.
Ebbene, non è errato sostenere che la mancanza di pressione politica e meritocrazia sia la causa principale. Una volta eletto, un politico “campa di rendita” e poco si fa per verificare se adempie al suo dovere e se è disposto ad andare contro il sistema, aprendosi alle innovazioni.
I politici vengono dunque eletti (o, perlomeno, mandati alle elezioni) per le loro capacità amministrative proverbiali, o perché riescono ad illudere le masse? Emergono grazie al merito, oppure grazie alla fedeltà al sistema clientelare? Diventano dunque “cattivi” a causa del sistema con cui interagiscono, o lo sono già da prima? Si lascia ai lettori l’arduo compito di rispondere a queste domande, e meditare sulla necessità di avere politici competenti.
Francesco D’Amico
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