Giustizia e Conflitto: intervista ad Antonio Dimartino per il suo ultimo libro

L’opera è edita da Tab edizioni e tratta le tematiche della giustizia e del conflitto sociale

Antonio Mirko Dimartino è cultore della materia in sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale presso il Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Sociologia dell’Università degli Studi “Magna Græcia” di Catanzaro. Autore di numerosi saggi e pubblicazioni scientifiche, membro dell’Associazione Italiana di Sociologia (AIS), è caporedattore della Rivista internazionale di sociologia giuridica e diritti umani.

In occasione dell’uscita del suo secondo libro, edito dalla prestigiosa Tab edizioni, dal titolo “Giustizia, società, conflitto”, è risultato quasi doveroso intervistare l’autore ed esprimere profonde congratulazioni per la pubblicazione dell’opera.

Buongiorno Antonio, ed eccoci qui, con piacere, a intervistarti sul tuo secondo volume dal titolo “Giustizia, società, conflitto”. Come nasce l’idea di trattare il tema della giustizia e del conflitto sociale?

Buongiorno e grazie per aver voluto ritagliare questo spazio in occasione della pubblicazione della mia opera. L’idea nasce dal poter constatare da sociologo del diritto, dopo anni di ricerche e seminari, come il panorama nazionale e internazionale degli studi e delle analisi sulla “giustizia” e sul “conflitto sociale” sia progressivamente cresciuto. Se, infatti, per un verso è aumentata a dismisura la richiesta di giustizia, per altro verso si è dilatata l’esigenza di controllare questa domanda. Il volume, dopo una ricostruzione teorica dei principali dibattiti, compie un’analisi strutturale e funzionale del conflitto sociale, confermando come il conflitto sia la normale modalità di interazione tra gli uomini. La solidità del rapporto sociale, difatti, deve essere misurata dalla presenza del conflitto e non dall’assenza dello stesso.

La genesi dell’opera è molto interessante. Ci sembra di capire, dunque, che alla base della tua ricerca ci sia la Sociologia del Diritto, giusto?

Assolutamente sì! L’incontro con quella sociologia del diritto che preferisco definire sociologia giuridica, indicando comunque quella meravigliosa disciplina che, come Renato Treves dichiara quale fondatore della scienza sociologico-giuridica in Italia, ha appunto due espressioni equivalenti, ha rappresentato per me il fascino della scoperta, il motore di ricerca dei miei dubbi nella mia lunga esperienza universitaria come cultore della materia.

La copertina del libro “Giustizia, società, conflitto” e l’autore, Antonio Mirko Dimartino.

In queste tue parole fai riferimento ai “dubbi”, a cosa ti riferisci di preciso?

Mi riferisco al fatto che i voti massimi e la tanto ambita menzione accademica ricevuti a conclusione dei miei studi universitari, ormai diversi anni fa, si basavano sullo studio intenso di quel “diritto”, inserito in manuali di oltre mille pagine, che non coincideva assolutamente con la nutrita ed evidente sfiducia circa l’esito di un giudizio, ampiamente osservabile nella società. Questa sfiducia e l’idea di abbandonare il tutto, infatti, non era presa dal classico cittadino onesto solo perché il giudizio si presentava lungo e costoso. Su questo ho riflettuto e lavorato intensamente per la stesura del mio volume.

Come nascono tutti questi “dubbi” nello studio intenso del “diritto”, come tu lo hai appena definito?

È chiaro che “maestro” impareggiabile nell’insinuare il dubbio nella mia mente è stato il prof. Bruno Maria Bilotta, con i suoi libri, le sue indimenticabili lezioni universitarie e gli illuminati progetti editoriali come la Rivista internazionale di sociologia giuridica e diritti umani, la prestigiosa rivista scientifica della quale ho l’onore di essere caporedattore. Dopo la mia laurea, l’illustre professore mi propose di collaborare con lui, nella didattica e in sede di esami di profitto, per la Sociologia dei conflitti, per la Sociologia della devianza e, altresì, per la Sociologia giuridica e della devianza, dal maestro insegnate aprendo nuove ed entusiasmanti strade alla didattica stessa. Di tutto questo ho profonda gratitudine e prometto di conservarne sempre l’imponente patrimonio. Questo libro ne è testimonianza evidente.

La passione con la quale ci rispondi è contagiosa. Ringraziandoti per questa intervista, ti chiediamo per quale motivo un comune lettore dovrebbe acquistare il tuo secondo libro.

Il motivo è semplice, in quanto questo libro propone al lettore alcune riflessioni di analisi sociale sul tema della giustizia in uno sfondo costante di teoria di conflitto sociale. Un percorso che non ha pretese esaustive ma che non può ignorare come nel panorama vasto e complesso degli studi socio-giuridici fin qui prodotti, in realtà molti meno di quanto il tema e la crescente problematicità delle situazioni sociali a questo collegate che quotidianamente emergono meriterebbero, richiede di indagare ancora una volta i rapporti tra diritto e società, con un occhio scientifico più attento ad una maggiore fruibilità delle tematiche stesse piuttosto che a quello degli approfondimenti strettamente tecnici o procedurali. Credo altresì che la lettura di questo volume possa, finalmente, far comprendere ai più come il conflitto sia un fenomeno ineliminabile della società. La giustizia, quindi, si nutre di conflitto.

Francesco D’Amico

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Al via il corso di perfezionamento in “Riforma del Terzo Settore e imprenditoria sociale”

Un prestigioso corso di perfezionamento esclusivamente on line

Milano ‒ Sono aperti i termini per presentare domanda di ammissione al corso di perfezionamento in “Riforma del Terzo Settore e imprenditoria sociale”, per l’anno accademico 2021/22, proposto dal Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano.

Il corso, che sarà coordinato dall’illustre Prof. Marco Quiroz Vitale, si inserisce nell’ottica di un aggiornamento ed approfondimento sulle tematiche legate alla Riforma del Terzo Settore e al rilancio dell’impresa sociale, anche in riferimento alle misure del PNRR. Si rivolge ai laureati in giurisprudenza, scienza dei servizi giuridici, professioni sanitarie, psicologia, scienze politiche, economia e altre lauree triennali o specialistiche del lavoro sociale e giuridico, nonché ai soggetti già attivi nel settore non profit e dell’economia sociale.

Il corso, che si svolgerà interamente on line dal 29 ottobre 2021 al 30 marzo 2022 e con una durata di 36 ore articolate in 9 lezioni, rappresenta una grande opportunità per il nostro paese. Accreditato presso il CNF, prevede altresì l’attribuzione di crediti formativi universitari e il rilascio di un attestato di partecipazione. Le domande di ammissione devono essere presentate improrogabilmente entro le ore 14 del 27 settembre 2021.

Per qualsiasi informazione aggiuntiva, per scaricare il bando e le modalità di iscrizione, è possibile consultare il seguente sito ufficiale:

http://www.beccaria.unimi.it/ecm/home/didattica/corsi-di-perfezionamento/terzo-settore

Antonio Mirko Dimartino

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Il necessario ruolo delle Geoscienze nei piani degli Obiettivi sullo Sviluppo Sostenibile 2030

Nel 2015, oltre 150 leader internazionali si sono riuniti per affrontare il tema dello sviluppo sostenibile globale approvando l’Agenda 2030, un piano che contiene 17 obiettivi (SDGs, Sustainable Development Goals) articolati in 169 sotto-obiettivi. Lo scopo di questo impegno è quello di perseguire entro il 2030 uno sviluppo globale che rispetti l’ambiente e che riduca le ineguaglianze sociali ed economiche tra paesi, mettendo fine alla povertà.

Una pubblicazione dell’Institute of Sustainable Development dell’Olanda e del Centre for Sustainability Studies della Svezia ha evidenziato una problematica cruciale relativa ai SDGs. Tali obiettivi sono stati studiati considerando, paese per paese, solo le dinamiche sociali ed economiche, trascurando l’aspetto geologico che certamente va oltre i confini della geografia politica. Quello che viene messo in evidenza è pertanto la necessità di un approccio che guardi ai vari contesti naturali presenti nel sistema Terra. Se osserviamo attentamente la situazione attuale del nostro pianeta attraverso una visione geoscientifica noteremmo che ci sono aree certamente più problematiche di altre. Due dei contesti più problematici sono i bacini fluviali e i delta costieri. Il 5% della popolazione mondiale vive in questi contesti. Grazie al suolo fertile, i terreni pianeggianti e l’abbondante risorsa d’acqua, queste aree sono importantissime per la produzione globale di risorse alimentari. Sono contesti che però si trovano tra l’incudine e il martello, da un lato minacciati dall’innalzamento del livello del mare e dell’altro subiscono la gestione e le scelte fatte sui fiumi da parte dei paesi situati a monte. Infatti l’Agenda 2030 concede a quest’ultimi la possibilità di perseguire i propri SDGs, questo si traduce in una maggior possibilità di concessioni per la costruzione di strutture finalizzate all’utilizzo delle energie rinnovabili, strutture che però spesso vengono realizzate non tenendo conto delle ripercussioni a valle. Un esempio sono le dighe delle centrali idroelettriche, che da un lato permettono di aumentare lo sfruttamento dell’energia rinnovabile ma dall’altro trattengono sedimento, ovvero la linfa vitale dei delta fluviali, non permettendo a questi sistemi naturali di mantenere la loro elevazione rispetto al livello del mare. A causa di ciò le popolazioni dei paesi a valle sono spinte a sovra sfruttare le acque sotterranee con conseguente accelerazione della subsidenza del terreno. Ciò ha ripercussioni sull’agricoltura, le infrastrutture presenti e sulle popolazioni in generale, rischiando per tanto allagamento e
salinizzazione dei suoli. Nel 2015 un team di geoscienziati è stato interpellato per contribuire ad una maggior inclusione delle geoscienze nell’Agenda 2030 e nel piano dei Sustainable Development Goals, gli interventi fatti però non sono stati considerati. Eppure uno degli aspetti che più caratterizza le scienze della Terra è proprio l’interdisciplinarietà e la capacità di lavorare in simbiosi con i più disparati ambiti di studio, dall’ingegneria all’ecologia passando per le scienze sociali e l’antropologia. Un’analisi effettuata nel 2017 dal British Geological Survey ha individuato ben otto aspetti chiave del ruolo della geologia nel raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile, questi sono: l’agrogeologia, lo studio dei cambiamenti climatici e delle risorse energetiche, geologia ingegneristica, geohazards, geoturismo, idrogeologia e geologia dei contaminanti, analisi mineralogiche. Campi studiati da geochimici, geofisici, idrogeologi, geologi del petrolio, geomorfologi, vulcanologi, sismologi, comunicatori delle geoscience. Pertanto, nonostante la scarsa attenzione riservata alle Scienze della Terra, le associazioni, gli enti e le università hanno il compito di battersi per una maggiore implementazione del ruolo delle geoscienze all’interno dell’Agenda 2030, in quanto delle scelte effettuate considerando non solo i limiti geopolitici ma soprattutto i contesti naturali e geologici presenti, possono influenzare in modo significativo il destino del nostro pianeta verso un futuro più sostenibile. Le attuali ricerche relative al campo socio-economico devono quindi continuare, ma urge una maggiore attenzione al ruolo delle geoscienze nel campo della sostenibilità ambientale.

Silvia Ilacqua

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La scoperta di una nuova barriera corallina, implicazioni geologiche e biologiche

Quanto conosciamo dei fondali oceanici? Davvero poco, si stima che solo il 19% sia stato mappato. Ma adesso si aggiunge un altro piccolo pezzettino a ciò che già conosciamo. Infatti, il 20 Ottobre 2020 un gruppo di scienziati durante una campagna di mappatura del fondo oceanico in Australia a nord della Grande Barriera Corallina, guidati dallo Schmidt Ocean Institute ha scoperto un nuovo reef corallino dalla forma di una torre alto 500 metri. La scoperta è stata fatta al dodicesimo mese di campagna di esplorazione e rappresenta la prima scoperta di questo tipo degli ultimi 120 anni. Il reef ha un base ampia un chilometro e mezzo e si sviluppa fino a 40 metri sotto la superficie del mare.

Ampio profilo di mappatura del nuovo reef alto 500 metri scoperto dallo Schimdt Ocean
Institute – https://schmidtocean.org/australian-scientists-discover-500-meter-tall-coral-reef-in-thegreat-barrier-reef-first-to-be-discovered-in-over-120-years/

Questa enorme struttura è separata dalla più conosciuta Grande Barriera Corallina Australiana. Una scoperta che certamente conferma quanto poco conosciamo del mondo sommerso. Infatti dall’inizio della campagna, sono state scoperte oltre 40 nuove specie più altri organismi conosciuti ma dalle dimensioni notevoli. Una delle scoperte che ha creato più scalpore a livello mediatico è stata quella avvenuta a metà Aprile 2020 quando sul fondo oceanico è stato osservato un sifonoforo lungo 45 metri. I sifonofori fanno parte del phylum degli Cnidari e appartengono al gruppo degli Idrozoi. Si comportano come organismi unici, ma in realtà sono costituiti da tantissimi zooidi, ovvero singoli individui ciascuno addetto ad una funzione specifica, come ad esempio i gastrozoidi deputati alla nutrizione o i gonozoidi, deputati alla riproduzione.

Ma come fa una barriera corallina ad esistere anche a questa profondità? Generalmente siamo abituati a pensare ai reef esclusivamente come ambienti di acque basse, ma in realtà esistono biocostruzioni anche a maggiori profondità come quelle mesofotiche che vanno dai 30 ai 200 metri di profondità e quelle di acque profonde che vanno dai 200 fino ad oltre 2000 metri, caratterizzate dall’assenza di luce solare (zona afotica). Questi reef non sono meno importanti di quelli di acque basse, in particolare se si parte delle barriere mesofotiche. È stato osservato che spesso vi è una sovrapposizione tra questa e quella superiore causando un crossover di specie tra le due. Uno studio del 2016 ha ipotizzato, che vista la crescente minaccia del riscaldamento globale sulle barriere di acque poco profonde, alcune specie possano riuscire a rifugiarsi verso le barriere mesofotiche. Quest’ultime, pertanto, potrebbero essere utilizzate per un parziale ripopolamento dei reef più superficiali (Baker et al., 2016). Attualmente questa rimane però solamente un’ipotesi in quanto sono necessarie ulteriori raccolte di dati.

Il sifonoforo gigante lungo 45 metri osservato durante la spedizione nel Nigaloo Canyons
dell’Australia – Schmidt Ocean Institute


La scoperta di queste barriere coralline più profonde ha importanti implicazioni. Rappresentano fondamentalmente la base su cui si sono formati i reef di acque poco profonde, inoltre sono importantissimi nelle ricostruzioni del livello marino. I reef si formano in prossimità della superficie del mare, ma se il livello marino sale le specie coralline di mare poco profondo si spostano più in alto e in basso vengono sostituite da specie che meglio si adattano a profondità maggiori, e questo avviene via via che il livello del mare si alza.

Man mano che il livello del mare si alza le specie più adatte agli ambienti profondi prendono
il posto delle specie di acque basse. – Tratta da https://youtu.be/t1d9CI-D2Lg

I dati che otteniamo da questi particolari reef ci permettono quindi di capire qual è stata la velocità con cui il livello del mare è cambiato nel passato e capire se quei dati coincidono con la velocità con cui sta cambiando oggi. È un’informazione in più che ci permette di dire se questo sta accadendo a causa di un processo naturale o antropogenico. Queste scoperte rappresentano anche un’ulteriore conferma di come la biologia e la geologia siano strettamente connesse. Se cambia la geologia, cambia anche la biologia. La geologia detta quale tipo di ambiente ci sarà e di conseguenza quale comunità si formeranno.

Silvia Ilacqua

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Asimmetrie informative ed esternalità nel mercato dell’Istruzione Musicale e del mondo del lavoro a essa connesso

Un dovuto approfondimento

Un brano musicale è spesso osservato attraverso due tipi di punti di vista: il punto di vista del fruitore e il punto di vista tecnico. Il primo può includere la manifestazione di preferenze personali similmente a quanto accade nel mangiare delle pietanze, non a caso a volte si parla di “gusti musicali”. Il secondo punto di vista invece analizza gli aspetti costruttivi o di realizzazione del brano, tramite una descrizione oggettiva dei costituenti dell’ opera d’ arte, astraendosi da quelle che possono essere le proprie preferenze personali. Questa capacità di analisi è quella che propriamente si dovrebbe sviluppare nell’ ambito del percorso formativo del conservatorio, delle scuole musicali o nelle lezioni private. La conoscenza di questi aspetti oggettivi della musica dovrebbe essere collegata e funzionale al mondo del lavoro connesso, principalmente nei settori compositivi ed esecutivi, e ovviamente anche in quelli musicologici o di insegnamento. Inoltre l’ ampliamento della conoscenza degli aspetti oggettivi propri di questa forma di espressione artistica dovrebbe occupare una posizione fondamentale, anche a fronte dell’ aggiornamento continuo degli strumenti tecnologici a nostra disposizione. Accade al contrario che venga data importanza ad aspetti soggettivi anche nell’ ambito accademico e che addirittura questi aspetti soggettivi vadano ad influire sui criteri di valutazione dell’ allievo. Vediamo come questo influisce economicamente nel mercato dell’ istruzione musicale e nel mondo del lavoro ad esso connesso.

Criteri valutativi oggettivi e criteri valutativi soggettivi

Prendiamo due esempi dal libro “Principi di Orchestrazione” di Rimskyj Korsakov nella Terza Edizione Rugginenti a cura di Luca Ripanti.

Esempio A: Ogni qual volta si renda necessario scrivere una parte per archi che consti di più di cinque parti complessive, senza naturalmente contare i bicordi e gli accordi, si può ricorrere alla divisione di ciascuna parte in due, tre, quattro o più parti: “divisi”.
Esempio B: (Parlando delle caratteristiche dei Corni) Il suono di questo strumento è dolce e poetico.

Notiamo due tipi di informazioni diverse contenute negli esempi sopracitati. Nel primo esempio l’ informazione è oggettivamente comprensibile in tutte le sue componenti e non vi sono termini che possono essere interpretati diversamente dal loro senso. Nel secondo esempio invece si tratta di un informazione prettamente soggettiva. Impararla per un allievo non fornisce alcun Pay Off verificabile.

L’ esempio preso in esame è tratto da un trattato ottocentesco ma anche oggi nell’ insegnamento della composizione si può incorrere in innumerevoli casi di questo tipo. Quando il maestro ad esempio asserisce che l’ allievo ha fatto durare un determinato elemento compositivo “troppo poco” nel brano sta incorrendo nello stesso genere di insegnamenti a Pay Off non verificabile. La durata di un elemento musicale può essere calcolata a partire dal numero di battute e dal metronomo indicato. Si tratta di un calcolo approssimativo ovviamente data la possibilità di inserire rallentando o accelerando, ma ad ogni modo possibile. Inoltre grazie alle nuove tecnologie, si possono calcolare con precisione anche gli eventuali rallentandi o accelerandi. Evidentemente se la durata eccessiva dell’ elemento x fosse da intendere oggettivamente come un errore, l’ allievo sarebbe tenuto a sapere in anticipo il numero di battute in cui protrarre tale elemento.

Anche l’ aspetto esecutivo non è immune a questo tipo di situazioni. Laddove il numero di note sbagliate nell’ esecuzione di un brano può essere preso come un punto di riferimento oggettivo per qualificare un’ esecuzione  rispetto ad un altra, altrettanto non si può dire per l’ interpretazione. Quest’ ultima infatti è l’ insieme di una grandissima varietà di aspetti di cui alcuni, soggetti alle preferenze di un ascoltatore rispetto ad un altro e pertanto non può essere presa in considerazione come un dato certo della qualità di una performance.

Una volta compresa la differenza tra criteri valutativi oggettivi e criteri valutativi soggettivi, è facile considerare che solo quelli oggettivi dovrebbero essere presi in esame nella valutazione accademica e nel contesto dei concorsi (di composizione o di esecuzione). Nella pratica invece non solo i criteri valutativi soggettivi vengono affiancati a quelli oggettivi, ma spesso i musicisti stessi non hanno la percezione delle ricadute negative che questo comporta, e pagano conseguenze di cui non conoscono l’ origine.

Criteri valutativi soggettivi e clientelismo

L’ introduzione di criteri soggettivi nella valutazione dell’ allievo implica l’ impossibilità di valutare la valutazione stessa. Errori come “troppo lungo” o “poco elegante” non si prestano ad essere misurati oggettivamente da un eventuale commissione esterna imparziale e dunque all’ allievo non resta che fidarsi del giudizio del proprio insegnante. Si consideri che molti ambiti lavorativi collegati alla formazione accademica sono gestiti dagli stessi docenti accademici. Ad esempio, moltissime giurie di concorsi sono formate da insegnanti di conservatori. Alcuni docenti inoltre oltre alla propria professione, svolgono attività lavorative nel mondo della musica (speaker radiofonici, conduttori di programmi relativi alla cultura musicale, performers, direttori, compositori) e possono facilmente fungere da ponte tra il mondo della formazione e quello lavorativo. Possono inoltre decidere a chi affidare un dottorato nel caso di paesi esteri, o fornire contatti con altri docenti per ottenerlo nel caso dell’ Italia. Si tratta dunque di figure determinanti anche per il futuro lavorativo delle persone che formano. A fronte di questo, data l’ impossibilità di valutare i criteri di valutazione che abbiamo esposto, le decisioni dei professori riguardo agli allievi da favorire possono risultare del tutto arbitrarie o guidate da logiche esterne rispetto all’ oggettiva funzionalità dell’ operato svolto dallo studente. Si possono verificare con facilità e senza rischi di alcun tipo dei fenomeni di vero e proprio clientelismo. Questo porta un danno economico a tutti gli allievi valenti che non vengono favoriti.

Asimmetria Informativa

L’ asimmetria informativa è una condizione in cui un’ informazione non è condivisa integralmente  fra gli individui facenti parte del processo economico: una parte degli agenti interessati dispone di maggiori informazioni rispetto al resto dei partecipanti e può trarre vantaggio da questa configurazione. A fronte delle considerazioni che abbiamo fatto finora si evince che possono verificarsi situazioni in cui fra due allievi parimenti valenti, un insegnante scelga di favorire solo uno di essi. Ricordiamo che l’ allievo non favorito paga ugualmente per partecipare alla lezione o iscriversi al conservatorio. Dunque esaminiamo il rapporto tra l’ insegnante e l’ allievo non favorito tramite la teoria dei giochi strategici.

Giocatori: Allievo, Insegnante
Azioni possibili per l’ Allievo: Fare lezione, Non fare Lezione
Azioni possibili per l’ Insegnante: Fare una Lezione Utile, Fare Una Lezione Non Utile

Preferenze Allievo: Per quanto riguarda l’ Allievo il massimo interesse sarebbe Fare Una Lezione Utile (dove per utile include ogni tipo di atteggiamento utile dell’ Insegnante rispetto all’ Allievo: usare criteri di valutazione oggettivi, favorirlo professionalmente laddove valente ecc.) perchè investirebbe correttamente il suo denaro e il suo tempo dunque questa opzione sarebbe la sua massima preferenza: Punteggio 2. Laddove invece partecipasse alla Lezione ma fosse inutile avrebbe perso tempo e soldi inutilmente dunque a Fare Una Lezione Non Utile assegneremo nel suo caso: Punteggio 0. Qualora l’ Insegnante volesse favorirlo e lui non partecipasse perderebbe un’ importante occasione e dunque vi sarebbe anche qui: Punteggio 0. Se invece l’ Insegnante volesse solo prendere i suoi soldi senza favorirlo ma lui non partecipasse avrebbe scampato il pericolo di sprecare il suo capitale di investimento: Punteggio 1.

Preferenze Insegnante: Avendo posto il caso che l’ Insegnante non è propenso a favorire l’ allievo qualora svolgesse una Lezione Utile avrebbe guadagnato solo il denaro corrisposto ma avrebbe agito contro le sue preferenze personali dunque assegneremo a questa opzione: Punteggio 1. Laddove invece facesse una Lezione Inutile prenderebbe i soldi e non favorirebbe l’ Allievo realizzando così la sua massima preferenza: Punteggio 2. Se facesse una Lezione Utile ma l’ Allievo non partecipasse non avrebbe nessun guadagno dunque: Punteggio 0. Infine qualora facesse una Lezione Inutile ma l’ Allievo non partecipasse, similmente non guadagnerebbe denaro: Punteggio 0.

Riassumendo abbiamo:

                                Insegnante

                                Utile          Non Utile

 Allievo    Fare Lezione           2, 1            0,2

                  Non Fare Lezione  0, 0            1, 0

Come si può evincere, qualora l’ informazione  fosse completa, ossia se l’ Allievo conoscesse le preferenze dell’ Insegnante, la sua Strategia Dominante sarebbe quella di Non Fare Lezione. Se infatti un Insegnante non vuole favorire un Allievo, Fare Lezione diventa un vero e proprio spreco di soldi che andranno a vantaggio dell’ Insegnante. Non Fare Lezione invece rappresenterebbe un mantenimento del proprio capitale di investimento.

Tuttavia nella realtà l’ informazione non è completa. Gli Allievi non sanno se l’ Insegnante effettivamente sta agendo a loro vantaggio o se sta facendo una serie di Lezioni Inutili che non porteranno ne alla realizzazione professionale, nè all’ ottenimento di strumenti sufficienti per raggiungerla. Le Lezioni Inutili sono esattamente l’ equivalente di quello che il Premio Nobel George Akerlof definisce come “Lemons”. Dunque la possibilità di influire sulla valutazione dell’ allievo attraverso criteri valutativi soggettivi o non a loro volta valutabili, permette che questi “Lemons” vengano venduti continuamente e indisturbatamente. Riferendosi all’ Ordinamento Attuale, nel caso minimo della Laurea Triennale per gli Allievi sfavoriti equivale a perdere letteralmente tre anni del proprio tempo e tutti i soldi che vengono investiti. Dal momento che viene incoraggiata l’ acquisizione di titoli avanzati e di titoli abilitanti gli anni e i capitali investiti persi aumentano via via che aumentano gli anni di studio effettuati nella condizione descritta.

Esternalità

Fin ora abbiamo esaminato il caso in cui l’ inutilità della lezione sia voluta coscientemente da parte dell’ insegnante. L’ inserimento di criteri valutativi soggettivi genera inoltre anche un’ altra possibilità. Si può riscontrare il caso in cui un insegnante sia in buona fede ma che in quanto viziato dalla mescolanza dei criteri valutativi oggettivi e soggettivi nella fase di formazione non conoscendo approfonditamente gli aspetti oggettivi della propria materia, generi sull’ allievo un’ esternalità negativa. La lezione infatti darebbe lo stesso risultato sebbene non voluto da entrambi gli operatori, della Lezione Inutile impartita con volontà cosciente. L’ insegnante in questo caso, non avrebbe la capacità di fornire una formazione adeguata all’ allievo ma per gli stessi motivi incontrati fin ora, sarebbe impossibile valutarlo da parte di una commissione esterna.

Risoluzione del problema

Si evince dunque che la condizione descritta genera danni economici notevoli tanto relativi al mondo dell’ istruzione quanto a quello del lavoro. Inoltre impedisce un reale sviluppo di molti ambiti della cultura musicale in quanto la natura delle nozioni insegnate è quantomeno arbitraria se non aleatoria. Analogamente al concetto secondo il quale il solo mercato non basta per sviluppare una società liberale (emergente dai lavori di Kenneth Arrow e Amartya Sen), anche il mondo della formazione musicale e della cultura musicale in generale da solo non può garantire i diritti dei suoi operatori (con particolare attenzione agli allievi). Si noti che quanto detto non vale solo in ambito musicale ma per tutti i campi del sapere dove non sono fissati dei criteri oggettivi a tutela degli operatori economici che ne fruiscono. Dunque i concetti espressi in questa trattazione potrebbero verosimilmente essere idonei al trattamento di un enorme campo d’ azione. La risoluzione del problema esaminato in questa trattazione presenta dunque la seguente risoluzione. Va creata una commissione che determini l’ oggettività dei criteri valutativi ufficiali, scendendo il più possibile nel dettaglio e aggiornando l’ insieme di questi criteri oggettivi durante il corso delle scoperte relative ad essi. Questo necessita dunque di aprire e sviluppare un un settore di ricerca scientifico attinente allo scopo. I criteri valutativi soggettivi non potranno essere presi in considerazione ne in sede accademica ne in ambito di concorsi ufficiali. Viceversa i criteri valutativi oggettivi dovranno essere i soli a essere presi in considerazione e dovrà esservi possibilità da parte di commissioni esterne apposite di valutare le valutazioni una volta essere saranno avvenute anche con l’ ausilio di tecnologie atte allo scopo (registrazioni, software musicali ecc.). Questo limiterà notevolmente o addirittura eliminerà i fenomeni problematici descritti nella presente trattazione con conseguenze positive sull’ utilizzo delle risorse economiche nell’ ambito interessato.

Alessandro Severa

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“Il testimone di Colonia”, di Massimiliano Lepera

Al via l’attesa ed innovativa campagna di crowdfounding

È del giovanissimo Massimiliano Lepera, classe 1991, l’idea di utilizzare strumenti moderni per la diffusione della cultura più intensa, quella letteraria. Dopo essersi cimentato sul genere giallo e thriller con il suo romanzo storico dal titolo “Il cuore e il pugnale”, che ha riscosso successi indescrivibili, il giovane scrittore catanzarese ci presenta un nuovo romanzo, questa volta a metà strada tra il giallo e un’opera di psicologia e riflessione del suo protagonista.

Si tratta de “Il testimone di Colonia”, la storia riflessiva di un giovane impiegato tedesco che sarà coinvolto in una grande avventura dopo che il capo della polizia di Colonia gli intimerà di fuggire per una situazione di pericolo. Dalla Germania in Italia, fin giù nella nostra amata Calabria, che si rivela essere sempre presente nei libri e nel cuore dell’autore, sotto un percorso di necessaria “protezione”. Questo è il cammino di Mark, così si chiama il protagonista del romanzo, che non si svilupperà nella mera visita di luoghi nuovi e diversi ma, soprattutto, nella conoscenza interiore, data da una profonda ed incessante attività riflessiva. Mark è un uomo comune che saprà simboleggiare la rabbia, lo sconforto o l’audacia, ma soprattutto la riflessione interiore poc’anzi menzionata. Ma qui ci fermeremo. E non vi parleremo di altri personaggi o di altre avvincenti vicende. Sì, perché l’autore ci regalerà delle sorprese che solo le piacevoli letture, come quella appunto di questo romanzo, possono regalare.

Ci dobbiamo fidare. Dobbiamo credere in questo giovane scrittore. E la cosa, detta tra noi, non è per nulla difficile considerando le circa quaranta pubblicazioni già all’attivo, nonché la sua riconosciuta attività di musicista e di docente. Sì, Massimiliano Lepera è anche laureato in Lettere Antiche e in Filologia e Storia dell’Antichità con voti massimi, è altresì professore di greco, latino e italiano presso il Liceo Classico Galluppi di Catanzaro, nonché un eccellente giornalista pubblicista.

Se volete dunque assaporare l’intrigante sensazione del fiato sospeso, tipica della lettura dei gialli, non vi resta che sposare la causa di Massimiliano Lepera e della casa editrice Bookabook. Il romanzo, infatti, può essere pre-ordinato nella innovativa campagna di crowdfunding del libro stesso, disponibile sul sito della casa editrice. Diverrete, in tal modo, potenziali lettori coinvolti nelle primissime fasi del progetto editoriale. Cosa può regalarci ulteriormente la cultura se non l’essenza di esser anche complici della stessa? Investire nella cultura, ricordiamocelo, è sempre una sorta di scommessa vincente. E se poi si tratta anche di investire in giovani scrittori, la speranza di un mondo migliore diventa ancor più viva. E vivere, in questo periodo di lockdown, ci manca davvero tanto.

Antonio Mirko Dimartino

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Testing e revisioni di proprietà intellettuali: una guida soggettiva all’approccio

Avere la possibilità di revisionare un prodotto artistico o lavorativo per conto di terzi è doppiamente onore e onere, con molteplici ripercussioni

Può capitare, in virtù di un legame di amicizia, per stima reciproca o nell’ambito di un contesto lavorativo, di ritrovarsi a fare da revisore o tester per conto di terzi. L’atto consiste nel ricevere, in anteprima, un materiale di proprietà intellettuale altrui, e revisionarlo o testarlo in modo da garantirne una certa correttezza, oltre che una stabilità intrinseca tale da rendere il tutto idoneo alla pubblicazione finale. Può trattarsi di un programma informatico, di un libro, di un progetto, e può trattarsi di un’attività fatta a tempo perso oppure in un preciso contesto di lavoro, dove vi sono contratti e accordi siglati precedentemente volti a garantirne le modalità. E’ un modo molto vasto che però obbedisce a una serie di regole basilari, che qui affronteremo in parte.

La decisione, da parte di una persona o di un gruppo di persone, di scegliere proprio noi per revisionare il loro lavoro è di per sé un complimento, dato che implica un giudizio positivo sulla nostra persona e certifica una percezione di affidabilità. Analogamente, se siamo noi a dover scegliere un revisore o tester, il processo seguirebbe una direzione opposta ma senza variazioni nella sua impostazione di base. I concetti chiave di questi atti congiunti sono sempre gli stessi, e riguardano la ricerca, nella controparte, di affidabilità, precisione, puntualità, dedizione e correttezza comportamentale. Salvo in casi dove la scelta è forzata da dinamiche estranee al nostro controllo, nessuno penserebbe mai di affidare un incarico del genere a chi può sottrarre la proprietà intellettuale, manipolare il contenuto per aumentare il numero di errori e/o di fatto sabotarlo. La scelta dei revisori o tester è già, da sola, una componente non indifferente del lavoro svolto.

Prima di iniziare il lavoro, a meno che non sia l’ennesimo di una lunga serie di lavori analoghi, dove è per l’appunto possibile avere accesso alle modalità di svolgimento pregresse, è essenziale mettersi d’accordo sulla modalità di revisione. L’autore che fornisce il proprio materiale deve, a questo punto, dare precise indicazioni su come sarà articolato il lavoro, soprattutto se a essere coinvolte sono più persone, ciascuna delle quali si occupa delle stesse cose. L’autore, per esempio, può dare una certa autonomia ai revisori, permettendo a loro di operare sui singoli contenuti, correggerli e rimandarli in modo che vadano a sostituire le loro versioni pregresse; analogamente, l’autore può dare precisa disposizione di segnalare errori e possibili miglioramenti, mantenendo il controllo sulle modifiche effettuate, che rimangono un’esclusiva dell’autore stesso.

In questo campo, la differenza è data dalla natura del contenuto. Se smembrato in tante parti e di impostazione telematica, apposite piattaforme possono permettere ai singoli revisori di fare modifiche puntuali e visibili a tutti, sincronizzate in modo istantaneo e automatico al fine di evitare possibili copie in conflitto dei medesimi file, o di parti di essi. Anche a decisione presa è possibile autorizzare delle deroghe, ma bisogna prestare la massima attenzione al rischio di cancellazione accidentale di modifiche parallele, che di fatto hanno il potenziale di annullare ore e ore di lavoro.

Un insieme di parole che regolano i processi di revisione e testing. Fonte: einfochips.com

Fino a questo momento abbiamo approfondito alcune impostazioni tecniche, che pur essendo importanti, non sono il vero nocciolo della questione. Esistono fasi in cui a farla da padrone sono le componenti caratteriali, sia dell’autore che dei revisori o tester, ed è proprio qui che si gioca la partita più delicata. Partiamo col dire che, se il tutto avviene in un’ottica lavorativa, vi sono sovrastrutture volte a regolare i processi, e qualsiasi incomprensione può essere risolta in modo formale richiedendo l’intervento di uno o più superiori. In campi meno ufficiali, quali ad esempio la correzione, a titolo gratuito e in amicizia, di un programma o di un testo, è proprio in questa fase che possono emergere piccole diatribe legate più al carattere delle persone che non alla natura di quanto creato.

E’ essenziale che un revisore o tester mantenga una linea all’altezza della situazione e rispettosa nei confronti dell’autore dell’opera o del progetto. La filosofia è la seguente: “sto revisionando un lavoro altrui, e benché passi dalle mie mani, non è mio”. Questo principio si riflette sulle natura delle correzioni e delle proposte; esistono, purtroppo, esempi di accozzaglie di correzioni oggettive e proposte soggettive di miglioramento, presentate unitamente e dunque elevate allo stesso livello e con le stesse pretese. Non è così che funziona: l’errore, che può essere una sbavatura di testo in un progetto documentale, o un bug in un programma informatico, va riportato prontamente se mina la stabilità del prodotto finale, perché è un ostacolo oggettivo al funzionamento. Qui si ha di fatto l’obbligo di segnalare all’autore cosa c’è che non va, in modo che avvenga una correzione. Diverso paio di maniche quando il revisore vuole presentare un suggerimento, o ha un’osservazione – magari anche pertinente – sull’impostazione generale del progetto: in un ambito democratico si ha tutto il diritto di proporre un cambiamento, ma va separato dall’errore oggettivo ed è essenziale che si consideri l’idea che l’autore possa rifiutarlo proprio in virtù della soggettività che l’ha portato in auge. A un primo rifiuto si può rispondere, pacatamente, con un’ulteriore argomentazione del perché di un determinato suggerimento, giustificandolo e dando prove della sua fondatezza, ma è essenziale non insistere. Al secondo rifiuto, il caso è da considerarsi chiuso ed è meglio evitare di portarlo avanti per il semplice gusto di fare ostracismo al progetto. Il revisore è, per l’appunto, un revisore, ma non un coautore: arriva il momento in cui non è più il caso di varcare il confine e pretendere l’impossibile. Lasciamo il Rubicone lì dov’è, perché questa non è una guerra di conquista o una rivoluzione. Un revisore maturo lavora e porta a termine in modo dignitoso un progetto anche se quest’ultimo non è di suo gradimento: è, in poche parole, asettico rispetto al fattore della preferenza personale, e si concentra sulle correzioni di natura oggettiva.

Altro concetto fondamentale riguarda il modo in cui le revisioni vengono presentate all’autore. Indicare un errore è un atto che bisogna concretizzare col dovuto rispetto, tenendo bene a mente il bene superiore e comune che è quello della revisione del progetto; nell’indicare l’errore o bug di sistema, serve un modo di porsi formale e pacato, talvolta con qualche riferimento personale aggiuntivo sul come è stato riscontrato, al fine di rompere il ghiaccio (e.g., “avevo appena finito di cenare e, riprendendo, la revisione del testo, ho notato una è non accentata proprio qui…”). Evitare, se non espressamente richiesto, di far pesare o comunque mettere eccessiva enfasi sul numero di errori riscontrati, durante il processo di revisione, con frasi decisamente fuori luogo (e.g., “questo è addirittura il trentesimo bug di sistema legato a quella funzione, ti rendi conto?”). Come ultima cosa, ma solo perché appare per ultima in questa mini-rassegna e non perché risulta effettivamente essere meno importante, è imperativo cercare di evitare di fare fronte comune tra più revisori su determinate problematiche di natura non oggettiva, con frasi un po’ al limite della concezione di squadra sana e produttiva (e.g., “ma sei di coccio? Siamo in quattro a dirti che in quel modo il progetto non va”). A prima vista sembrano tutte cose scontate perché, in fondo, non si tratta di altro rispetto al consueto mantenimento di una certa netiquette, eppure gli inconvenienti di questa natura sono molto più comuni di quanto si creda.

Premuto questo tasto dolente, è il momento di toccarne un altro: la riservatezza dei contenuti condivisi, che ricordiamo essere ancora non idonei alla pubblicazione definitiva. Non deve esserci un contratto di lavoro a ricordarci che, se un progetto ci è stato fornito in anteprima, dobbiamo mantenere estremo riserbo sul suo contenuto. Alcuni contesti prevedono forti penali in caso di fuga di notizie, perché l’entità del materiale lo prevede e ingenti danni economici sono possibili, ma proviamo a essere corretti anche nei confronti del “piccolo” contenuto, quello fornitoci in amicizia o comunque in un contesto informale. Non andiamo a riferire a terzi gli errori fatti dall’autore, se siamo revisori, e non riferiamo in mondovisione dell’inefficienza e del comportamento dei nostri revisori, se siamo autori. Insomma, anche qui è sufficiente applicare un po’ di giusta riservatezza, così come di fatto avviene in molti campi della nostra vita privata.

Un cortese invito a fare della sana revisione, in un contesto produttivo e civile. Fonte: bssc.edu.au.

Questa digressione soggettiva sulla tematica delle revisioni e del testing finisce con un ultimo, grande tasto dolente: la tempistica di consegna delle correzioni. In questo caso la problematica ha una doppia sfaccettatura, in quanto potrebbe essere il frutto di un problema accessorio, che è semplice e diretto: sottostimare l’entità del lavoro di revisione e dunque ritardare la consegna per sopravvenute incompatibilità di tempo con impegni di natura personale. Questo aspetto nascosto e potenzialmente pericoloso, dato che rischia di ritardare il completamento generale di lavori che hanno richiesto settimane, mesi o anni per essere completati, rende il tutto più triste dato che il ritardo più avvertito dall’autore non è quello delle varie vicissitudini della fase principale e produttiva, ma quello che si sperimenta proprio alla fine, quando si è agli sgoccioli e si sta per consegnare (o pubblicare) il tutto. Per rendere l’idea, immaginate di fare un’intera scalinata, tra l’altro con una certa fatica, e di realizzare che proprio l’ultimo scalino risulta più difficile da superare perché la vostra scarpa è rimasta bloccata all’altezza di uno scalino precedente, dove qualcuno ha messo della colla. E’ sicuramente più fastidioso e deludente rispetto al trovare quella stessa colla su uno dei primissimi scalini. Ecco, il senso è proprio questo, e riguarda la percezione psicologica del ritardo dell’ultimo momento, più scoraggiante del ritardo che si sperimenta in itinere.

Certo, è opportuno riconoscere in ogni revisore o tester anche la persona che c’è dietro: un imprevisto nella vita, positivo o negativo che sia, può sempre portare dei ritardi ed è corretto sopperire a essi con un sostituto o con maggiore forza lavoro. E’ un po’ meno accettabile, tuttavia, quando il ritardo è frutto dell’improvvisazione, dato che essere un revisore non significa soltanto “leggere” qualcosa e dare un’impressione generale, ma significa analizzare rigo per rigo, codice per codice e particolare per particolare di un lavoro altrui, ossia fare un’opera minuziosa e lenta che deve rendere il prodotto finale quasi perfetto e a prova d’errore. Se siete autori in cerca di revisione, guardatevi bene, pertanto, da revisori improvvisati e inaffidabili, e se siete revisori, cercate ambienti positivi in cui si può operare serenamente.

Francesco D’Amico

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Il Coronavirus dei Cieli: un effetto nascosto della pandemia

Una crisi senza precedenti dopo anni di crescita continua, ma – a quanto pare – non c’è limite al peggio…

La pandemia da SARS-CoV-2 ha rivoluzionato non solo il trasporto aereo, ma quasi ogni aspetto della vita quotidiana. La crisi economica indotta dal Covid-19 è una realtà e il trasporto aereo risulta essere solo uno dei tanti settori a essere stati colpiti, dopo anni e anni di cresciuta continua del traffico, una crescita che ha retto precedenti crisi economiche in modo più che egregio.

Ebbene, dato che, come direbbe qualcuno, non c’è mai limite al peggio, pare che tra gli effetti indesiderati del Covid-19 nei confronti del vasto mondo del trasporto aereo vi sia anche l’inasprimento di alcuni processi di decadimento dello stesso, già in corso da anni ma ora di fatto amplificati da una vera e propria lotta per la sopravvivenza delle compagnie aeree. Ne parliamo, entro i limiti consentiti per questa sede, con un volto che i fan di TLR conoscono già: il pilota Ivan Anzellotti, autore del testo autobiografico “Storia di un pilota: dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar” e del giallo a sfondo aeronautico “Il destino degli altri“, entrambe opere trattate su questo sito.

Due icone del trasporto aereo che stanno vedendo la loro carriera finire anche grazie alla pandemia in corso. Da sinistra, l’Airbus A380 e il Boeing B747. Fonte: Aviationvoice.com.

Ivan, innanzitutto grazie di cuore per la tua disponibilità. Speravamo di risentirci in situazioni un po’ più rosee dato che qui in TLR, un po’ come tutti gli altri, auspicavamo un tuo meritato ritorno nei cieli italiani. La pandemia ha colto popolazioni e governi alla sprovvista, ma pare che nel trasporto aereo stia dando il modo – e l’occasione – di incentivare comportamenti un po’ “al limite”. Cosa pensi stia cambiando nel trasporto aereo, e dove si sta sbagliando, di preciso?

La pandemia ha mostrato la vera anima del moderno modello di business in voga già da tanti anni in aviazione, in cui tutto il rischio d’impresa è a carico dei dipendenti, cosa che invece per natura dovrebbe essere degli imprenditori. A sole poche settimane dalla chiusura delle frontiere tra i paesi europei e del mondo abbiamo visto compagnie aeree fallire, licenziare o sospendere lo stipendio ai propri dipendenti, una situazione che dopo un lasso di tempo così breve si giustifica solo con una gestione finanziaria da tempo fuori controllo e che ha trovato nella pandemia una scusa eccellente per essere appianata, nella totale indifferenza delle istituzioni e degli enti di controllo. I dirigenti e gli azionisti continuano a gestire le compagnie aeree come fruttuosi investimenti a breve termine dimenticando la parte umana del loro business, rappresentata dai dipendenti, che alla fine sono quelli che pagano le conseguenze maggiori.

Su questo sito abbiamo già affrontato in passato, grazie anche alle tue importanti denunce, il fenomeno denominato “pay to fly”. Stiamo ora assistendo a una maggiore diffusione di tale fenomeno? Spesso si sente parlare di naviganti disposti a lavorare gratis, pur di conservare il proprio posto di lavoro in questo periodo tumultuoso.

Credo che questo sia un fenomeno differente e che nasce dalla natura egoista di alcuni individui che credono di imbonire i dirigenti delle proprie compagnie offrendosi di lavorare gratis pur di evitare il licenziamento o, approfittando della situazione, per poter contare in un avanzamento di carriera, magari con un trasferimento su un aereo di lungo raggio. Questi atteggiamenti finiscono per danneggiare l’intera categoria perché dal momento che i dirigenti sanno di poter contare su una forza lavoro gratuita, in futuro non sentiranno la necessità di migliorare le condizioni contrattuali.

Il “Pay to Fly”, una delle maggiori criticità del trasporto aereo attuale. Ora, tuttavia, pare si stia osservando un fenomeno a esso parallelo, ma diverso. Fonte: Eurocockpit.be.

In più di un’occasione c’è stato un certo battibecco tra i rappresentanti delle compagnie aeree e i governi, soprattutto in merito al distanziamento sociale a bordo. Come pensi che abbia influito sulla situazione attuale?

Non essendo un medico non so valutare se il distanziamento a bordo possa ridurre la diffusione del virus, quello che posso dire è che una compagnia non può permettersi di far viaggiare i propri aerei lasciando vuoto un terzo dei sedili e sono felice che tale obbligo sia durato poco. Basta poi farsi un giro per gli aeroporti per vedere che il distanziamento non viene rispettato affatto nelle varie fasi di check-in, imbarco e sbarco, quindi alla fine, il posto vuoto a bordo non risolverebbe comunque il problema.

Un aspetto molto triste della pandemia è il processo di accelerazione del ritiro, dal servizio attivo, di aeromobili fino a poco tempo fa definiti iconici per il trasporto aereo mondiale. Parliamo dell’Airbus 380, ma soprattutto dello storico Boeing 747, che ha plasmato l’aviazione in tutto il mondo. Come pensi debba essere inquadrato il ritiro di questi grandi aeromobili in un mercato incerto come quello attuale?

L’Airbus 380 era già in crisi prima ancora dell’avvento del Covid-19 quando il sistema di trasporto basato sugli Hub, i grandi aeroporti centrali sui quali far convergere tutti gli altri voli, ha lasciato il posto al point to point e nuovi aerei più economici, ma pur sempre ad alta capacità di passeggeri, come il B787 e l’A350 recentemente entrati in servizio. Ovvio, quindi, che con la drastica riduzione dei viaggiatori, la fine dei giganti del cielo abbia subito una accelerazione.

Il B747 ancora resiste grazie alla sua versatilità come aereo cargo, ma la Boeing ha annunciato la fine della produzione per il prossimo anno e lentamente tante compagnie lo stanno radiando. Tuttavia, sono convinto che vedremo volare la versione cargo ancora per molti anni.

Il trattamento riservato ai lavoratori, tra cassa integrazione e licenziamenti in massa, è da definirsi congruo rispetto alle previsioni di ripresa del trasporto aereo mondiale? Ci sono dei limiti che sono stati, per certi versi, superati? Potremmo fare qualche esempio senza indicare nello specifico le aziende coinvolte…

I limiti non ci sono proprio stati, si è trattato di una pulizia generalizzata per togliere di mezzo dipendenti anziani e quindi più costosi e per ridurre le condizioni di chi è rimasto. La scusa del Covid-19 è stata troppo ghiotta e infatti ha impedito sia alle associazioni di categoria che agli enti di controllo di poter contestare tali comportamenti. Bisogna anche notare però che la mancanza di coordinamento centrale da parte della Comunità Europea ha lasciato i singoli Stati a prendere iniziative isolate con l’istituzione di quarantene tra alcuni Stati che mettono in difficoltà la programmazione dei voli, il tutto con conseguenti improvvise cancellazioni che rendono anche complicata la gestione del numero degli equipaggi necessari per garantire la rete.

Il trasporto aereo mondiale ha retto egregiamente di fronte a grandi sfide. Come andrà questa volta? Fonte: Apex.aero.

Pensando al futuro, è auspicabile ritenere che dopo una crisi del genere il trasporto rinascerà in modo più sano, raggiungendo un livello di dignità non contemplato prima della pandemia? O, al contrario, si prenderanno scelte nette e tali da comprometterne il futuro per un lasso di tempo indefinito?

Io sono convinto che una volta che il virus cesserà di fare paura il trasporto aereo tornerà ai livelli precedenti, così come è successo dopo ogni grave crisi: basti pensare all’attacco dell’11 settembre 2001, quando si credeva che il trasporto aereo fosse finito. È il mondo della Medicina e della Politica che deve dare risposte precise e spiegare se il virus sia ancora una minaccia per la popolazione, ed eventualmente trovare rimedi per limitarne la diffusione. Altrimenti, il futuro dell’aviazione e di gran parte dell’industria del turismo resterà compromesso per sempre.

Ancora una volta, caro Ivan, grazie per la tua immensa disponibilità e per le tue preziose opinioni. A presto!

Francesco D’Amico

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Quando la difesa da “Calabria terra di mafia e terremoti” è più banale dello scivolone iniziale

Nel rispondere a una ormai celebre gaffe mediatica sono stati fatti più errori che nella gaffe stessa, con risultati banali e stereotipati

Dell’ormai arcinoto scivolone di una nota compagnia aerea se ne è parlato tanto, anzi, tantissimo. La notizia ha fatto il giro di siti e telegiornali nazionali, ed è stata ripresa nei soliti talk show in chiave patriottica-antistereotipata, ossia con quel solito miscuglio di difesa del “marchio Italia” accompagnato da luoghi comuni che stentano a svanire.

Dovrebbe far riflettere, tuttavia, come tutto il percorso che va dalla pubblicazione oggetto di polemica alla sua conseguente critica, e culminato coi salotti di talk show vari e con la rettifica da parte della compagnia aerea, ha ancora una volta evidenziato i problemi alla base degli stereotipi, positivi e negativi che siano. Nel prendere le distanze dalla descrizione che vede la Calabria come “terra di mafia e terremoti”, gli stessi calabresi hanno commesso una serie di errori che ancora una volta denotano quanto potenziale inespresso si nasconda dietro la Calabria, una regione che da sola potrebbe spostare il baricentro economico del Paese, se cambiassero alcune cose nel modo di gestirla. Il tutto ha come contorno l’ignoranza italiana nei confronti della Calabria, ossia un’Italia che di fatto non la conosce e ne parla sempre e solo allo stesso modo.

Questione terremoti: la Calabria è a rischio, non si può negare sperando che i grandi eventi “non accadano”, ma bisogna saper fare le giuste politiche di prevenzione, così come avviene in altre regioni del mondo. Fonte: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Partiamo dalla reazione in stile non vedo, non sento e non parlo in merito alla questione terremoti, tra l’altro molto nota al sottoscritto essendo stato l’argomento oggetto di studio accademico. La Calabria è la regione col più alto rischio sismico d’Italia, nonché quella dove si sono concentrati molti dei terremoti storici italiani con più vittime, quelli più devastanti e quelli con magnitudo (stimata o misurata) maggiore. E’ sufficiente consultare la cartina del rischio sismico, rilasciata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, per vedere come la quasi totalità del territorio calabrese rientri in aree con rischio elevatissimo. Nel corso della storia, infatti, la popolazione calabrese è stata flagellata da questi sismi, molti dei quali con magnitudo momento (Mw) superiore a 7 e ripercussioni storiche e sociali tali da averla mutata in modo permanente. I terremoti storici calabresi hanno raso al suolo innumerevoli centri abitati, modificato i paesaggi e sterminato centinaia di migliaia di persone. L’ultimo terremoto catastrofico, il noto sisma di Reggio Calabria e Messina del 28 dicembre 1908, è considerato il più grande disastro naturale della storia d’Europa del quale si abbia traccia storica: ha praticamente raso al suolo due intere città, molto popolate per l’epoca, provocando un numero di vittime che alcune stime vedono intorno alle 120.000, alcune delle quali dovute al colossale tsunami con picco massimo da 12 metri che è arrivato dopo la fortissima scossa. E’ stato qualcosa di immenso, difficile da concepire in chiave moderna, e che deve fungere da lezione per il futuro, nonché da testimonianza del passato. Se la Calabria affronta da sempre problemi economici e occupazionali, si deve in parte anche a questi fenomeni, coi quali bisogna imparare a convivere, così come avviene in luoghi del globo che hanno rischi sismici ancora più elevati, quali Giappone e Cile (Milano non sarebbe quella che è ora se negli ultimi secoli fosse stata colpita da terremoti di magnitudo prossima a 7, che dite?). Il corretto approccio scientifico impone che non si può far finta di nulla e incrociare le dita, anche perché i meccanismi geodinamici alla base di questi sismi sono in atto. D’altronde, la stessa città di Reggio Calabria era stata precedentemente distrutta da un altro devastante terremoto, in occasione dello sciame del 1783, e andando a scavare nei dati storici scopriamo di tanti altri eventi simili che nei secoli hanno interessato e plasmato Calabria e calabresi, toccando tutte le aree della regione. Questi eventi sismici non hanno risparmiato nemmeno Lamezia Terme, città sede dell’unico aeroporto calabrese dove la compagnia aerea inglese, resa celebra dalla gaffe, vi opera da oltre un decennio.

Il nocciolo della questione è: dobbiamo tenere alla larga i turisti a causa del rischio sismico? No. Dobbiamo far finta che i terremoti di elevata intensità non ci siano stati e non possano ripetersi? Nemmeno. Se qualcuno tira in ballo il delicato argomento dei terremoti in Calabria dobbiamo fare i “negazionisti”? No, nemmeno.

La risposta corretta a queste esternazioni, risposta tra l’altro anche molto concreta, è quella di puntare sulla gestione ottimale del rischio sismico, che non è affatto fantascienza. In realtà, ed è sufficiente interfacciarsi con un qualsiasi geologo calabrese per rendersene conto, questa prevenzione è bistrattata, tralasciata, messa sempre in secondo piano, proprio perché a qualcuno piace essere “negazionista”, ossia comportarsi come se le cose che hanno un tempo medio di ricorrenza (120-150 anni) superiore alla vita media umana, di fatto non esistessero. Il prossimo evento di elevata magnitudo potrebbe avvenire tra 50 anni, tra 100 anni, non possiamo saperlo prima, ergo per molti è “inutile” preoccuparsi. Ecco l’errore nella difesa da “Calabria landa di terremoti”: non rispondere con la sana politica sulla sicurezza e la formazione della popolazione al rischio sismico, ma incrociare le braccia e sperare che i grandi sismi non si ripetano, quando dalla Scienza sappiamo che si ripeteranno eccome e per molto altro tempo ancora. Alzino la mano gli studenti delle scuole dell’obbligo calabresi che sono stati formati in modo esaustivo sul tema dei terremoti: vedrete che sono pochi, perché gli interventi di formazione nelle scuole sono a loro volta rari e limitati. Il tutto è esasperato e reso ancor più tragicomico dal fatto che i presentatori da talk show italiani, come si evince dai loro interventi degli ultimi giorni, sono a loro volta molto impreparati da questo punto di vista. Non essendo l’argomento di attualità, dato che, come già specificato, l’ultimo sisma di notevole magnitudo è avvenuto alla fine del 1908, sono risultati incapaci di fare interventi all’altezza e di concentrare l’attenzione del pubblico italiano sulla tematica, e in modo sapiente. D’altronde, cosa volete che sia il più grande disastro naturale d’Europa per numero di vittime? Ma andiamo avanti, perché non finisce qui.

Non conoscete la Cattolica di Stilo e tanti altri posti simili perché pensate che il turismo in Calabria si possa fare con le sole belle spiagge? Ecco la radice del problema. Fonte: visitstilo.it.

In ordine di gravità, dopo la politica delle tre scimmiette in tema di terremoti calabresi, abbiamo visto la solita solfa trita e ritrita della Calabria che in realtà è bella da visitare perché si tratta di uno splendido posto dove passare l’estate, con le sue spiagge che si stanno imponendo per fascino nello scenario turistico mondiale. Ecco, ancora una volta, il fallimento totale nella valorizzazione delle reali risorse calabresi. Un’ennesima occasione perduta per parlare della Calabria per i suoi monumenti, i suoi resti archeologici, e per le meraviglie animali atipiche rispetto alle spiagge, nella forma della Sila, delle Serre e dell’Aspromonte, con i loro borghi, i loro prodotti tipici e i loro percorsi. Ecco che, ancora una volta, si è imposta un’immagine della Calabria lontana da quella del suo potenziale inespresso, un’immagine che la vede come una terra per soli vacanzieri estivi, che non avrebbero nulla da fare lontani dalle coste. L’immagine di una Calabria senza borghi antichi da visitare, senza minoranze linguistiche da studiare, perché tutta la ricchezza sembra relegata nelle spiagge. Quest’immagine finisce, se portata all’esasperazione, a bollare la Calabria come una meta per turismo stagionale quando, in realtà, presenta le caratteristiche di base del turismo annuale, con un picco di natura stagionale per l’apporto extra derivante dal clima estivo, ma con un minimo garantito nell’arco di tutto l’anno per le ricchezze di altra natura, il tutto con ovvi benefici nei confronti dell’economia locale. Invece, tutto tace: ecco che riappare ogni volta la storia delle spiagge calabresi, stupende, per carità, ma senza la volontà di iniziare a imporsi nello scenario internazionale per un turismo più completo, a vantaggio di tutti.

Infine, tabula rasa totale per quanto riguarda l’aspetto culturale della recente polemica. La mancanza di una presa di posizione culturale nel difendersi da chi ha bollato la regione come “mafiosa, ma in realtà bella per le sue spiagge” è preoccupante, perché si lega ai soliti stereotipi e blocca la nascita di una coscienza culturale regionale, plasmata invece dalla solita solfa delle spiagge e del negazionismo dei terremoti. Perché è stata difesa la Calabria per principio e in modo così banale e scontato, senza portare in auge esempi concreti della sua cultura millenaria? Perché parlare per stereotipi e non ricordare alla compagnia aerea inglese, per esempio, che i suoi aerei volano grazie a un’evoluzione degli studi matematici che hanno tra le proprie fondamenta i teoremi impostati da Pitagora? Perché non citare la ricchezza, anche culturale, della Magna Graecia? Nei talk show degli ultimi giorni, nessuno ha voluto, forse proprio per una questione di ignoranza personale di base, far menzione di tutto ciò, e/o ricordare che la difesa della dignità calabrese passa anche per l’origine stessa del nome Italia, che pare sia nato qui, in tempi storicamente antichi. Si è palesata, per l’ennesima volta, una banalità allucinante nel parlare della Calabria e di chi vi abita, con una macedonia di conoscenze frammentarie e stereotipi negativi rimodulati in positivi, al fine di difenderne, almeno all’apparenza, la dignità. Il risultato finale? Un’apologetica della Calabria che è più banale e scontata dello scivolone mediatico della compagnia aerea inglese.

Francesco D’Amico

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Rischio di collisione tra droni e aerei civili: una prospettiva sui danni commerciali

Non è solo una questione di sicurezza: fenomeni del genere possono avere ripercussioni su centinaia di persone e interi sistemi aeroportuali

Il dibattito sulla sicurezza aerea nel progressivo intrecciarsi delle operazioni svolte da sistemi aeromobili a pilotaggio remoto o SAPR, comunemente detti droni, con il traffico aereo ritenuto standard che comprende elicotteri e aerei commerciali, sta imponendosi sempre di più come una necessità nel campo dei trasporti. E’ ormai ritenuto vitale mettere a punto procedure che possano permettere ai due tipi di traffico di coesistere, e contestualmente al dibattito stesso, emerge la criticità di fare in modo di prevenire eventuali collisioni o altri fenomeni che possano minacciare la sicurezza.

Il dilemma del rischio di collisioni tra droni e aerei commerciali. Fonte: Emag.directindustry.com.

Il regolamento SAPR dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), così come tanti altri regolamenti nazionali che, progressivamente, convergeranno verso regolamenti prima continentali e poi mondiali, prevedono già notevoli limitazioni al traffico aereo dei droni al fine di tutelare il traffico standard dal pericolo di collisioni. Sono vietate, infatti, operazioni svolte senza autorizzazione in prossimità degli aeroporti, e nelle aree immediatamente circostanti, nonché lungo i sentieri di discesa, dove sono previste numerose serie di limitazioni alle quali i droni non sono normalmente sottoposti in ambienti isolati. Queste limitazioni non riducono a zero la probabilità di collisioni, in quanto molte espressioni del traffico aereo standard, si pensi per esempio alle eliambulanze, ai CL-415 (noti ai più come Canadair antincendio) e agli aeromobili delle Forze dell’Ordine, possono volare e senza preavviso in aree dove qualcuno sta operando in ambito SAPR nel pieno rispetto delle regole. Basti pensare, per esempio, a una ripresa aerea in ambito cittadino con un drone e un operatore autorizzati per le cosiddette “aree critiche” (CRO), interrotta dall’intervento in emergenza di un’eliambulanza per soccorrere una persona in pericolo di vita. Sono scenari concreti, frequenti e da contemplare, per i quali il regolamento prevede che ad avere la precedenza sia sempre il traffico manned (con persone a bordo) rispetto a quello unmanned (con controllo remoto), con precise istruzioni che prevedono una riduzione di quota per i droni, e l’eventuale atterraggio, in caso di avvicinamento repentino di un aeromobile con persone a bordo. Contemplare questi scenari e formare gli operatori di droni in tal senso non è sufficiente, in quanto la remota possibilità di collisione con un aeromobile manned comunque esiste ed è necessario capire quali conseguenze possa avere.

Ha attirato molto l’attenzione degli esperti del settore la questione del video, ancora disponibile su YouTube, che simula le conseguenze dell’impatto tra un quadricottero DJI della famiglia Phantom e l’ala di un piccolo aereo, mettendo in evidenza vistosi danni all’ala stessa. Il colosso cinese DJI ha successivamente invitato gli autori del video a cancellarlo o comunque a ridurne la diffusione, contestando la presunta validità dello stesso in un comunicato stampa rilasciato ad hoc che fonda la propria tesi, essenzialmente, sul fatto che la velocità relativa dei due mezzi al momento dell’impatto simulato non è compatibile con la reale velocità relativa possibile al momento dell’impatto stesso. Ipotizzando una velocità “reale” nettamente inferiore, in simili scenari, ne consegue che le ripercussioni dell’impatto debbano a loro volta essere inferiori, per una semplice questione di energia cinetica, che è estremamente suscettibile a variazioni di velocità.

Un estratto dal video tanto discusso.

Il comunicato stampa di DJI, associato a molti casi di collisioni tra aerei e droni non confermati dalle indagini, ha purtroppo generato non poche “correnti apologetiche” dell’abusivismo, ossia considerazioni prive di fondamento normativo da parte di operatori, registrati o abusivi che siano, che hanno ridimensionato l’identità del rischio associato a queste collisioni. Un paragone molto triste trovato sul web dall’autore del presente articolo, e più che mai attuale, “contestava” il volo celebrativo per la lotta al Covid-19, operato dalle Frecce Tricolori sulle principali città italiane in quanto nettamente più rischioso dei voli con droni, si presume abusivi, che invece sarebbero a “rischio zero” per la popolazione. Il paragone è stato reso ancora più triste in quanto associato alla menzione del disastro di Ramstein, che ha coinvolto la nostra pattuglia acrobatica nazionale alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. Stendendo un velo pietoso sul tatto dell’analogia, che non è affatto calzante per una serie di motivi, bisogna prendere le distanze da queste filosofie di “apologia dell’abusivismo” e avere una cognizione concreta dei rischi reali. In questa sede, dato che non è sufficiente per una perfetta descrizione dei rischi stretti derivanti da una collisione tra un aereo e un drone in termini di ripercussioni catastrofiche (e.g., disastro aereo, gravi danni a edifici, morte o ferimento di persone), si affronterà una tematica dai più tralasciata, incentrata sulle conseguenze commerciali di un simile impatto, al netto del rischio di un grave incidente e dei danni strutturali che ne possono conseguire.

Effetti di un bird strike su un aeromobile commerciale. Fonte: Avionews.it.

Ipotizziamo una collisione, in fase di atterraggio, tra un aeromobile commerciale e un drone, secondo modalità parallele ai bird strike, ossia alle collisioni tra aeromobili e volatili, anch’esse potenzialmente pericolose. A collisione avvenuta, l’aereo continua il suo percorso di discesa e atterra a destinazione, e i suoi piloti notificano il controllo aereo di una collisione con un “oggetto” sospeso in aria. Sentono un tonfo o un rumore simile, ma non sanno esattamente dove è avvenuto l’impatto, fatta eccezione ovviamente per l’intake dei motori, dove un evento di impatto potrebbe causare uno stallo del compressore con ovvie ripercussioni sulle procedure finali di atterraggio. Ebbene, una situazione del genere comporta una serie di conseguenze tali da avere pesanti ripercussioni sulla gestione, o handling, dei voli commerciali: le operazioni di sbarco passeggeri e scarico di bagagli e merce possono iniziare tranquillamente, ma tutto ciò che riguarda la ripartenza, ossia l’imbarco e il caricamento di bagagli e cargo, è congelato e il volo subirà un ritardo indefinito. Bisogna interrompere le operazioni di preimbarco, per esempio, e notificare al più presto i tecnici che, se disponibili, devono condurre un’ispezione della fusoliera insieme ai piloti. Non è possibile parlare della partenza del volo se non prima si quantifica l’entità del danno: questo significa che un numero di passeggeri considerevole, in media tra i 100 e i 150, rimarranno in attesa al gate del proprio volo, aspettando impazientemente disposizioni e direttive su cosa accadrà. In base al modello di mercato adottato dalla compagnia aerea, potrebbe esserci una percentuale non indifferente, anche prossima al cento per cento, di passeggeri con voli in coincidenza che rischierebbero, per l’appunto, di perdere il volo successivo. Per molti di essi, potenzialmente per tutti nel caso si tratti di un volo serale, la coincidenza prenotata potrebbe essere l’ultima disponibile quel giorno, e questo significherebbe non giungere a destinazione entro sera, un disguido per molti ritenuto inaccettabile. In alcuni casi  di collisione non è nemmeno possibile effettuare il rifornimento, in quanto alcune collisioni prevedono, proceduralmente, una mancata ritrazione dei flap dopo l’atterraggio, spesso tale da impedire la procedura di rifornimento.

Altre situazioni ipotetiche potrebbero comportare la perdita dello slot del proprio volo, termine tecnico che può essere reso come una finestra di tempo specifica nella quale poter partire, ergo comportare un incremento imprevedibile dell’entità del ritardo dello stesso. L’effetto potrebbe essere amplificato da eventuali scioperi del controllo del traffico aereo, particolari picchi di traffico come quelli riscontrati durante le vacanze, o l’emergere di limitazioni particolari come la chiusura di una o più piste di un aeroporto trafficato. In casi come questo, ma anche in situazioni più comuni nella quotidianità del trasporto aereo commerciale, l’intera operatività giornaliera di un aeromobile può essere compromessa, in quanto il ritardo iniziale avrà massicce ripercussioni sugli altri voli previsti per quel giorno (fino a otto, in base alle tratte operate), e dunque estendere i disagi a un numero di passeggeri prossimo al migliaio, se non superiore.

Tornando alla fattispecie ipotizzata, a controllo effettuato e dopo le dovute verifiche tecniche del caso, le possibilità per il volo sono due: un prolungamento del ritardo, forse anche più indefinito del precedente a causa degli interventi tecnici speciali da svolgere (nei casi peggiori può dover essere necessaria una sostituzione dell’aeromobile, ergo l’impiego di un aeromobile diverso rispetto a quello programmato), o una partenza con un ritardo generalmente tra la mezz’ora e l’ora di entità che, come già stabilito, potrebbe essere molto pesante per i passeggeri con voli in coincidenza. Basti pensare, per esempio, che molte compagnie aeree accettano come MCT (Minimum Connecting Time), ossia come lasso di tempo al di sopra del quale i sistemi informatici di prenotazione possono vendere i biglietti a passeggeri in coincidenza, finestre temporali di 30 o 45 minuti. Avere un connecting time di 45 minuti di fronte a un’ora di ritardo del primo volo significa perdere la propria coincidenza. A pagarne particolari conseguenze potrebbero essere le categorie di passeggeri in difficoltà, come i disabili e i malati in viaggio per motivi medici, da soli o con appositi accompagnatori: per loro, un ritardo causato da una collisione tra aereo e drone “senza reali conseguenze per l’aereo, basta col terrorismo psicologico”, come direbbero gli abusivi, potrebbe essere un vero dramma personale. Immaginate, per un attimo, cosa possa significare, per una persona in attesa di un ricovero di vitale importanza, sapere che il ricovero rischia di essere rimandato perché un incosciente ha causato una collisione tra un aeromobile a pilotaggio remoto e un aereo commerciale.

Il ritardo di un volo indotto dal drone utilizzato da un operatore abusivo e incosciente può causare molti disagi.

In realtà, le ripercussioni potenziali di queste collisioni, anche senza danni strutturali seri agli aerei commerciali, possono essere molte di più di quelle elencate velocemente in questa sede. Nel complesso, nel concludere questa digressione, gli esempi servono a far capire che una collisione non catastrofica tra un drone e un volo commerciale può provocare ingenti danni economici, tra le cinque e le sei cifre, alle compagnie aeree, e disagi immateriali e non quantificabili a un numero di persone prossimo alle mille unità. E’ importante tenere conto di questi fattori quando si discute il rischio di collisione, dato che non si può ridurre a una mera caratterizzazione fisica del danno strutturale potenzialmente inflitto dal drone impattante. E’ doveroso porre fine all’apologetica del cosiddetto “innocente” operatore abusivo che opera “senza rispettare le regole, ma con una buona dose di buonsenso” nei pressi di uno scalo aeroportuale, dove “ha già volato per tante volte senza problemi” perché sul web ha letto che “in realtà, non ci sono mai state vere collisioni tra aerei e droni” e, soprattutto, “anche se ci fossero, l’aereo non verrebbe giù e non ci sarebbero ripercussioni gravi”.

Francesco D’Amico

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