Definizione dell’italiano esperto
Metto già le mani avanti: questo articoletto potrebbe apparire contraddittorio in nuce. Ma in realtà… non lo so.
Se qualcuno (e questo qualcuno sono io stesso, ché non è che qualcuno si prende la briga di farmi domande, non è che ce ne sia bisogno, insomma) mi chiedesse di provare a dare una differenza specifica per la definizione di uomo italiano, probabilmente risponderei con piglio sicuro e quasi senza pensarci su: l’essere esperto in materia. Non dico “l’esperienza” in materia, anche perché molto spesso l’italiano esperto in materia di esperienza in materia non ne ha, punto, dico piuttosto che l’italiano è uno che ne capisce. E ne capisce di tutto. È nato con un talento naturale per la comprensione e la risoluzione dei problemi; portatore, egli, dell’opinione notevole che deve per forza essere espressa e pubblicata. La sua opinione, che per l’opinionista che la esprime è pura verità, soltanto camuffata da un velo di soggettività che si tramuta in assoluto soggettivismo, ma di quello spicciolo, quello che scade nell’individualismo estremo, se non – cosa che molto spesso accade – proprio nella pura idiozia (idiota in senso primo, come colui il quale non riesce a vedere oltre se stesso) –; la sua opinione, dicevo, bisogna che sia data agli altri, come atto di amore nei confronti del prossimo, al fine di migliorarne l’esistenza. Per questo l’italiano non può fare a meno di esprimere il proprio punto di vista, esposto come idea: per amore. Che poi, se anziché essere amore in senso proprio o amore per gli altri, sia amor proprio, vano egoismo connivente con il tipico egocentrismo, non fa niente. Per l’italiano è così, punto e basta.
[N. B. Il “mettere le mani avanti” dell’inizio. Sono italiano anche io, e probabilmente sto attuando la differenza specifica che espongo. Eh, Gaber, Gaber! Ma davvero, questa che sto dando, è una pura e individuale opinione? La parola ai critici che, sicuramente più esperti in materia di me, potranno dire la loro…]

Imitazione dell’opinionista Paolo Del Debbio.
Proviamo ad entrare nel vivo della questione e tralasciamo le elucubrazioni. Entriamo nei luoghi italiani della cultura: i bar. Ma non i bar tipo il Café de Flore parigino (che, appunto, non è italiano), ma quelli nostrani, quelli benniani tipo Bar Sport (dove la preposizione articolata sarebbe un fronzolo eccessivo, quasi barocco). Nel primo i clienti abituali erano Picasso, Sartre, Rimbaud, Prévert e altri di codesto tenore; nel secondo, invece, la fauna tipica è quella superbamente e magistralmente descritta dallo scrittore italiano (nda: è probabilmente l’autore italiano che reputo il migliore degli ultimi trent’anni). Ora, tutti e dico tutti i clienti dei bar italiani sono degli esperti in materia. Lo si dice sempre: in Italia abbiamo circa 60 milioni di allenatori di calcio (un po’ di meno di basket), altrettanti critici cinematografici (e nella loro top ten vi è sul podio l’ultimo cinepanettone), politologi e politici, scienziati e quant’altro. E nei bar trovano il loro habitat naturale, quello dove possono liberamente mostrarsi al mondo dall’alto della loro sapienza sterminata quantitativamente e, secondo loro e tutti quelli attorno, qualitativamente, e spulciarsi a vicenda, in queste orge di opinioni e pidocchi, fragranze di caffè e cornetti e quotidiani, il più delle volte regionali quando non locali. Ultimamente, poi, sta prendendo piede l’essere esperti in materia in campo musicale e in campo culinario, solo che per questi due nuovi soggetti bisogna spostarsi sull’altra piattaforma culturale per eccellenza: i social network. E qui vai col commentatore, questo nuovo essere sociale che non può fare a meno di non trattenere le sue veloci dita per esprimere il suo giudizio sull’artista (che sia cuoco o cantante indifferentemente, l’esperto in materia, che è sempre lo stesso, ne sa di entrambi i campi): “Questo è un genio, quest’altro mi ha fatto emozionare, questo è bravissimo, quello fa pena, quell’altro ha scelto la canzone/il piatto sbagliato per esprimere al meglio le proprie capacità, il proprio talento” e così via dicendo.
Quanta altezzosa consapevolezza esiste in questi soggetti? E quanta reale competenza? Probabilmente, molta la prima, infima la seconda. Tant’è che molto spesso il vero esperto o viene scambiato per uno di loro (se commenta), o non commenta proprio. Oppure, se critica – molto spesso giustamente, perché veramente ne capisce (pensiamo a Monina per quanto riguarda la musica) – nella sua pagina, viene attaccato dai difensori (che quindi giocano un doppio ruolo) del criticato, deriso e lapidato e dilaniato da taglienti e profonde fauci manco fossimo al Colosseo! E qui, il pinco pallino di turno si alza, viene innalzato allo stesso livello del vero esperto, e si crea una democraticissima confusione nella quale tutto è uguale e tutto è penoso.
Insomma, commentatori della Repubblica, studiate un po’ di più, commentate di meno (prima imparate anche un po’ a scrivere, al di là della presenza dei grammar-nazi) e soprattutto rendetevi conto che il vostro giudizio, soprattutto quando non è richiesto, non importa a nessuno. Rendetevi conto che state comunque parlando e sparlando, e per lo più a sproposito, di una persona, che sia anche il personaggio di turno: non avete nessun diritto di dare addosso a qualcuno. Il pubblico che si esalta per una fiera che sbrana un martire non è così lontano: quando si è dall’altra parte molto spesso non ci si rende conto. Quindi non sforzatevi tanto di esprimere il vostro parere, ché nessuno ve l’ha chiesto. Ora direte che se uno pubblica si deve esporre anche alle critiche. Ecco, le critiche: qual è il limite tra una critica e un’offesa? Probabilmente è l’esperienza, tutt’altra cosa che l’esperto in materia da bar e da social network.
A. Ve.
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