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Non hai altro dio all’infuori di me
Siamo quelli del disagio. Quelli che lasciano in sospeso le cose, e le cose si dimenticano di noi. Così, quello che ci accade diventa qualcosa di nostro che a nessuno importa. E facciamo di tutto per cercare di fare capire, per cercare di comunicare, per caricare foto ed eventi su Facebook in modo che gli altri sappiano e sappiano tutto, sempre, e sempre più rispetto a quello che noi stessi vogliamo sappiamo. Pubblichiamo tutte le possibili foto, tutte le cazzate senza vergogna, senza il minimo segno di pudore, senza nemmeno chiederci: ma disturbiamo? Perché degli altri non ci importa nulla, in realtà. Una massa di egocentrici illusi della propria importanza. Crediamo di essere speciali e vogliamo farlo sapere a tutti, proprio quei tutti di cui nulla ci importa, e ogni presagio di interesse viene subito accantonato, e quel minimo che rimane è solo un residuo di egoismo. E basta con le cazzate dell’altruismo, del buonismo e dell’essere “de sinistra” ma senza mai esserlo troppo, abbastanza, veramente. E come diceva Kant: non esiste l’altruismo, non illudiamoci. Il nostro caro io è sempre al centro dei nostri pensieri. La cosa più e meno salda. Più salda perché non possiamo farne a meno, non possiamo fare a meno di nutrirlo ed esporlo, di renderlo disponibile. Meno salda perché siamo così superficiali da seguire le correnti. Vortici con al centro solo un nulla. Un nulla bello carico di slogan da social network tipo quelli che ci dicono: “La gente parla sempre, tu sii te stesso e cammina a testa alta” (che a trovare quel “sii” scritto correttamente si è già miliardari di fortuna – nel senso che si ha la fortuna a miliardi)… banalità di un grottesco disarmante, disarmante soprattutto per il seguito che ottengono. Ma chi ci crediamo di essere? Ognuno di noi è così saldo nelle proprie convinzioni… così saldo da cambiarle continuamente, senza il minimo sforzo, senza coscienza, senza pensare a nulla. Cambiamo e basta. Ma senza neppure essere consapevoli della qualità del cambiamento. Perché cambiare è giusto, non è giusto non sapere di farlo, essere troppo superficiali per capirlo.
Siamo questi testamenti individualisti e pesanti, che poi andiamo a bere e ubriacarci in giro e guidiamo che tanto lo reggiamo e non succede niente. E quasi mai succede qualcosa. Ma mai a dire “la fortuna” e sempre a dire “è merito nostro”. Ma quale merito? Che cosa ci rende così grandi e speciali? Cosa abbiamo, qual è il nostro esame di coscienza quotidiano dove mettiamo noi stessi a nudo con noi stessi e ci flagelliamo dei nostri errori – oggi non c’è di certo: oggi degli errori ne siamo tutti fieri, vai a vedere uno di quegli slogan di sopra: sbaglio di mio e sempre a testa alta. No, mio caro, se sbagli e lo sai allora non puoi stare a testa alta. Degli errori mai andare fieri si deve, ma sempre bisogna prendersi le colpe.
Siamo immaturi sempre, quarantenni con figli che non ci mettono nulla a pubblicare foto dei propri figli minorenni sui social senza pensare che forse non è il caso: e, invece, via, a tutta birra con le foto del bagnetto, del carnevale, del dentino che cade, dell’acconciatura e quello che vuoi. Siamo questi maturi per finta, che non riusciamo mai a staccarci dalle gonne delle nostre mamme anche se la famiglia ce l’abbiamo. E sempre a lamentarci del nostro lavoro o non lavoro e sempre a criticare quello degli altri, qualunque esso sia. E sempre a criticare o ad apprezzare eccessivamente gli altri, mai giustamente: questo per dire: l’egoismo di sopra. Pubblichiamo per noi stessi, non per gli altri, ché agli altri non importa di noi né a noi degli altri. Tutto finto.
Tutto finto come chi legge e chi scrive, e chi legge questo e scrive questo. O positivo o negativo, tutto finto.
A. Ve.
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