Una critica alla scommessa di Blaise Pascal

Questo articolo è uscito sul mensile Il Lametino lo scorso 19 gennaio 2013. Potete trovarlo anche sul blog GSI. Per maggiori informazioni circa la presenza dell’articolo su entrambi i siti, si consiglia la lettura della FAQ.

Per il grande filosofo e matematico francese è sempre meglio credere in Dio, ma…

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La scommessa di Pascal, nota nel mondo anglosassone col nome di “Pascal’s Wager”, rappresenta un approccio molto comune tra la popolazione. Secondo Blaise Pascal, filosofo e matematico del diciassettesimo secolo, credere in Dio è una scelta conveniente, una scelta che ci tutela. Se si crede e Dio esiste, si va in Paradiso (premio infinitamente grande). Se si crede e Dio non esiste, non si guadagna nulla e non si perde nulla. Se non si crede e Dio non esiste, si hanno le stesse conseguenze del caso precedente e, infine, se non si crede e Dio esiste, si va all’Inferno (punizione eterna). Schematizzando, credendo si avrebbe l’infinitamente positivo (+∞) oppure una condizione neutrale (0), mentre non credendo si avrebbe l’infinitamente negativo (-∞) oppure una condizione di neutralità (0). La logica di Pascal suggerisce di credere comunque, nonostante tutto, per massimizzare i possibili benefici (+∞ anziché 0) e limitare i possibili danni (0 anziché -∞). Leggendo queste parole, qualcuno potrebbe ammettere di aver applicato al proprio credo la scommessa di Pascal e credere per una pura logica di convenienza o timore. In realtà, tale scommessa nasconde un numero spropositato di insidie e inesattezze. Vediamo le più importanti:

Semplificazione esagerata delle variabili in gioco.
L’errore più grande di Pascal è stato ridurre un numero quasi incommensurabile di variabili e possibilità a due sole variabili (esistenza di Dio, Fede dell’individuo) e quattro possibilità (varie combinazioni delle variabili), semplificando un po’ troppo le cose. La divisione non è tra Cristiani eAtei, ma tra Cristiani, MusulmaniEbreiInduistiSikhShintoistiTaoisti, Atei e via dicendo, andando a toccare ogni singola religione del pianeta Terra, dato che ogni religione potrebbe essere quella vera e tutte le altre potrebbero essere false. Tutte le religioni del mondo, almeno quelle più importanti, ci dicono che se non crediamo nel loro dio/dei non ci sarà nulla di bello per noi dopo la morte, e ai fini della scommessa di Pascal dobbiamo considerare questa molteplicità di variabili. Ovviamente, l’Ateismo non è una religione, ma si inserisce comunque nell’insieme sterminato delle variabili da considerare.

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E’ davvero così semplice? Penso proprio di no.

Anche nell’ambito di una stessa religione, come il Cristianesimo, ci sono tante variabili secondarie: quale corrente del Cristianesimo è quella giusta e garantisce il Paradiso se praticata? Dio punisce iCattolici e premia i Protestanti, o viceversa? Come facciamo a saperlo? La Parola di Dio è stata interpretata correttamente? Stiamo facendo veramente quello che Dio vuole? L’esistenza di Dio implica l’esistenza della vita eterna e viceversa, la vita eterna implica l’esistenza del Dio biblico? Come possiamo dare per certa l’esistenza di due soli regni principali dopo la morte (Paradiso, Inferno)? Come si inserisce il Purgatorio in questo contesto, esiste veramente e garantisce l’accesso al Paradiso? Il messaggio di Gesù è stato cambiato e adattato in base alle esigenze, denaturalizzando il messaggio originale?

Moltiplicando il tutto, con le variabili che via via tendono all’infinito, la probabilità di aver fatto la “scelta giusta” tende ad essere 1 su ∞, cioè praticamente nulla.

La benevolenza di Dio e l’apostasia come unico peccato imperdonabile: implicazioni etiche.
Un altro errore è pensare che Dio, o gli Dei, puniscano i non credenti razionalisti mandandoli all’Inferno e garantiscano il Paradiso ai credenti. Potrebbe non essere così: nell’ipotesi di un dio benevolo, Dio stesso potrebbe premiare gli scettici che non hanno creduto senza prove e punire i fedeli che hanno creduto ciecamente, senza prove e senza mettere in discussione il proprio credo. Se, ignorando il discorso delle variabili pressoché infinite, aggiungessimo allo schema di base della scommessa di Pascal l’esistenza di un Dio benevolo che premia gli Atei e punisce i Credenti, il vantaggio della Fede così come riportato da Pascal verrebbe meno e, come risultato, credenti e non credenti avrebbero le stesse identiche probabilità di salvarsi e andare in Paradiso.

Il discorso sulla benevolenza di Dio va ben oltre l’aggiunta di una sola variabile e ha ripercussioni non indifferenti sull’etica. Nella sua analisi, Pascal considera l’appartenenza o meno alla religione cristiana come unica linea di separazione tra chi potrà andare in Paradiso e chi patirà le pene dell’Inferno, ignorando tutte le altre azioni. Pascal, con la sua scommessa, dice sostanzialmente che l’apostasia è l’unico peccato non perdonabile, l’unico a regolamentare lo smistamento delle anime tra Paradiso e Inferno. Si tratta di una visione che tutto può vantare tranne un senso: premiare assassini, stupratori, massacratori, ladri e traditori solo perché hanno creduto e punire gente dalla condotta esemplare solo perché non ha creduto va oltre ogni logica e soprattutto va contro l’etica. Altrettanto inconcepibile sarebbe mandare, a parità di condotta, una brava persona non credente all’Inferno e una brava persona credente in Paradiso.

Il costo zero della Fede e i vantaggi nulli dell’Ateismo.
Secondo Pascal, nell’eventualità della non esistenza di Dio, l’aver creduto durante la vita ha un costo 0 e non c’è nessun vantaggio nel non credere. Nulla di più sbagliato. Innanzitutto, non c’è niente di bello nel credere in una bugia per tutta la vita, e se nel momento della morte si potesse realizzare, anche se per una sola frazione di secondo, che non ci sarà nessuna vita eterna dopo di essa, probabilmente il moribondo credente proverebbe una sensazione di angoscia per le sue false credenze e speranze, non il sollievo per l’aver evitato i castighi eterni dell’Inferno. Oltre a ciò, e questo è un discorso ancora più pratico, è irrazionale considerare nullo il costo della fede durante la propria vita: professare una religione richiede tempo, sottrae tempo ad altre cose, può portare a problemi di interazione con non credenti e/o con credenti di altre religioni, in molti casi richiede somme non indifferenti di denaro, porta a pregiudizi nei confronti di alcune categorie (e.g., gli omosessuali e le coppie di fatto) e può limitare comportamenti e abitudini alimentari utili senza motivi validi al di fuori del contesto religioso. Infine, e questo è un punto saliente, quando si inizia a spiegare tutto con la fatidica frase “E’ Opera di Dio”, non si cercano più le altre risposte, siano esse accessibili tramite libri o altra forma di documentazione, o inaccessibili, e in quel caso serve l’operato dei ricercatori. Se tali ricercatori pensassero di sapere già la risposta alle loro domande individuandola in Dio, smetterebbero di fare il loro lavoro oppure lo farebbero con uno stimolo importante in meno. Non per nulla 93 scienziati su 100 della National Academy of Sciences(Accademia Nazionale delle Scienze) americana ammettono di non credere in Dio. Non si tratta di una semplice maggioranza, ma di una maggioranza schiacciante, e percentuali analoghe caratterizzano tutti gli altri gruppi di ricerca scientifica.

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“Perché è più facile leggere un libro piuttosto che qualche libro difficile.”

La forza dell’autoconvincimento.
In base al ragionamento di Pascal, nonostante le prove della non esistenza di Dio (o meglio, la mancanza di prove della sua esistenza) sembrerebbe facile autoconvincersi della sua esistenza perpura convenienza, limitando i danni. A guidare i fedeli che vogliono evitare le pene eterne dell’Inferno ci sarebbe, quindi, la paura. Questo ragionamento rivela due errori di base importantissimi: il primo è che non è possibile prendere in giro se stessi e stabilire, di punto in bianco, di passare dallo status di non credente a quello di credente e di mantenere il nuovo status con convinzione, per tutta la vita, per la sola paura di andare all’Inferno. Il secondo errore sta nella presunzione di poter in qualche modo “imbrogliare” Dio facendo passare ai suoi occhi una fede dettata dalla convenienza come una fede spontanea e maturata, idea che andrebbe a cozzare con il concetto di Dio onnisciente.

Concludendo, la morale è questa: se volete credere, o se non volete credere, fatelo in base a quello che provate, non in base alla convenienza e alla speranza di evitare la punizione eterna. La scommessa di Pascal non è un modello sul quale basare la propria appartenenza o meno ad un credo religioso.

Francesco D’Amico

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