Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 215) il 28 febbraio 2015.
L’azienda crede nel neolaureato come potenziale manager del domani
Persone che vogliano esprimere le proprie capacità, di questo ha bisogno il mercato del lavoro. Brillanti neolaureati con spiccate capacità relazionali, magari dinamici e flessibili, ovviamente predisposti al lavoro di squadra. É quanto emerge dai sondaggi relativi all’accesso diretto alle selezioni per le assunzioni, messi in campo dalle varie società insieme a svariati progetti formativi. Anche in un periodo di elevata disoccupazione, sintomo di quella crisi che ci portiamo dietro dal 2008, si continua a parlare di alcuni requisiti di base per poter lavorare. Stiamo parlando della proattività, della passione, dell’energia e della voglia di mettersi in gioco. Si punta a questi come dei “criteri essenziali” per poter sviluppare il talento di un potenziale giovane assunto. E cosa si promette in cambio di tanta dedizione? Facile, esperienze lavorative trasversali e l’assunzione di posizioni lavorative sempre più importanti.
Le aziende che hanno una profonda conoscenza del mercato del lavoro e degli scenari economici internazionali, si dirigono verso la realizzazione – nel loro interno – di un ambiente dinamico nel quale il neoassunto possa esprimersi e realizzarsi. Così, con non pochi sacrifici economici, le varie aziende mirano a garantire alle varie persone un costante supporto per il loro sviluppo professionale attraverso un percorso formativo continuo, che possa accrescere competenze e conoscenze. Proprio per questo motivo, si punta molto ad incoraggiare le inclinazioni naturali del lavoratore, cercando di coltivare anche le potenzialità inespresse. Tutto questo ha un costo, ma soprattutto un obiettivo. L’idea è quella di ritrovarsi con dei futuri lavoratori pronti ad utilizzare tutte le proprie capacità e le numerose giovani energie, per un lavoro che sia sviluppato sui canoni di una estrema mobilità interna all’azienda stessa, nonché di una necessaria mobilità territoriale.
Tutto questo è legittimo per le imprese di un mondo globalizzato, che cercano di costruire un presente e un futuro coerenti con le aspettative di tutti gli stakeholders. Il problema è che questo tipo di impostazione fa presa sui giovani ambiziosi, ai quali vengono promesse vertiginose scalate e la tanto desiderata possibilità di assumere velocemente ruoli di responsabilità. Spesso, questi ruoli, sono inesistenti e riportano solo quel classico nome in lingua inglese, sicuramente molto fashion, ma decisamente poco costruttivo per il loro futuro. E come accade da diversi anni ormai, la difficoltà, in una situazione del genere, non è mai nella parole utilizzate bensì nella sostanza.
Sembra lecito chiedersi, attraverso la facoltà del pensiero, che senso abbia tutto questo. Sia ben chiaro, l’idea di sviluppare un lavoratore pronto alla mobilità interna ed a quella territoriale, non è per nulla sbagliata, anzi è necessaria per combattere la crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo. Il problema è la logica di corto respiro, che illude i giovani e rallenta il processo di realizzazione aziendale. Non ci sono più le condizioni politiche ed economiche dei fortunati anni ottanta, ragion per cui è necessaria una presa di responsabilità, anche quando si assume il giovane laureato.
Tra le altre cose questo processo è identico sia per le assunzioni che per il semplice stage. Quest’ultimo, finalizzato all’apprendimento on the job, è un’esperienza altamente formativa che permette ai neolaureati di entrare in contatto con le varie realtà aziendali gestendo direttamente alcuni progetti in affiancamento con i classici tutor aziendali. Questo iter permette alle imprese, infatti, di monitorare i giovani in cerca di occupazione con un determinato processo di valutazione. É chiaro che non è sicuramente semplice comprendere quanto gli stessi possano essere orientati alla eventuale futura mobilità interna, per non parlare della più complessa mobilità territoriale. Quello che ci chiediamo, però, è se sia giusto un identico processo di selezione sia per gli stage che per l’assunzione. Non è forse uno degli errori di reclutamento più diffusi? É chiaro che la verità certa e assoluta non sia – essenzialmente – di questo mondo, ma è sicuramente possibile un’attenta analisi dei pensieri. La stessa, infatti, dovrebbe portare le aziende a fare differenza tra semplici assunzioni e stage, evitando altresì di far credere ai vari candidati speranzosi che sono già in lista per divenire i futuri manager proprio di quell’impresa.
I giovani che sono a contatto con la disperata realtà economico-finanziaria, che hanno studiato realmente i testi universitari e hanno imparato a “stare al mondo” lavorando nei call-center, sanno perfettamente che questo modello di comunicazione – targato anni ottanta – non funziona più. L’inserimento nel mondo lavorativo, infatti, è molto complesso. Proviamo a non illudere questi ragazzi, perché tale inserimento deve essere accompagnato da un grande impegno e da un processo graduale di conoscenza dell’azienda. Cerchiamo di non impostare colloqui e stage sull’idea che dal giorno dopo questi ragazzi dovranno “gestire” qualcosa o qualcuno, ma proviamo a fare emergere invece le loro capacità tecnico-applicative o, ancor meglio, quel “senso pratico” che aiuta nella vita in generale e non solo in quella lavorativa.
Antonio Dimartino