Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 234) il 27 maggio 2017.
Sognatori che “lavorano” ad occhi aperti
Si potrebbe iniziare a scrivere o a discutere di poesia e di poeti ma non basterebbe carta, non ci sarebbe abbastanza tempo oratorio per porre un senso finito a questa arte autorevole o alla nascita dei suoi “amanti”, i cosiddetti poeti. E’ un argomento complesso e dalle mille sfaccettature, la cui origine va a radicarsi molto presto nella storia umana. Fin dagli albori del mondo, la poesia è indiscussa presenza velata o svelata dell’animo umano: il bisogno di poetare non è altro che vita materiale attraverso parole e versi stesi a venerare fogli immacolati. Il “mestiere” del poeta non si sceglie, colui che riesce a scrivere “se stesso” trasportato dalla magia vera, artistica d’ispirazione, quello è l’unico, assoluto “menestrello” aulico della carta. Non è facile saper descrivere gli attimi, non è semplice far comparire vivi i sospiri, ma non è faticoso per il re poetico fermare l’assoluto delle lacrime e dei cuori, delle pene e degli amori, tra le mani e tra i capelli della gente incolta, poiché di quella colta, ad egli poco importa di piacere. Solo chi, dotto fra i libri sa farsi comprendere dagli umili, quello è il vero fuscello d’oro, il segnalibro del gran poeta. L’amore per il bisogno del “dire” non si arresta mai, è eternamente instabile, una natura interiore viscerale che lavora i suoi sogni con gesto fulmineo e indeterminato. E’ questa la poesia, una delle forme d’arte più sublimi: l’uso delle parole a scopo descrittivo con intenzioni e sentimenti forti, anzi, fortissimi, che vanno abbondantemente oltre quanto trasmesso da semplici testi e racconti. E’ una forma artistica unica, densa e concentrata, che deve necessariamente trasmettere il suo messaggio in poche righe, pena il rischio di “degenerare” in un’altra forma di scrittura artistica.
Una domanda è dunque spontanea: si nasce poeti, o si diventa col tempo? Quale iter formativo e di vita sperimenta colui che un giorno diventerà poeta? Cerchiamo la risposta a questa e a tante altre domande. Ebbene, poeti non si nasce, poeti lo è si ancor prima d’esser pensiero concepito dal seme umano. Non vi è, dunque, scuola dove apprendere l’Ars poetica che come quella del decantato Publio Ovidio Nasone avviene probabilmente “in medias res”, cioè “in mezzo alle cose”, nel bel mezzo degli eventi, senza anticipazioni, preamboli e lunghe digressioni su cosa è accaduto prima e sul perché il presente è così come lo sperimentiamo, e non diverso. E’ nel bel mezzo di uno iato, di un sussulto, di un avvento, che la poesia s’insinua e diviene pazza realtà da mangiare, non più da capire ma, da fantasticare nel farci l’amore, nel sentirla come parte di chi la scrive e di chi la legge. Aveva proprio ragione il padre indiscusso della poesia che “il pazzo, l’amante e il poeta non sono composti che di fantasia”. William Shakespeare, uno dei grandi emblemi della scrittura del millennio scorso, non si sbagliava, ma noi vogliamo credere nel fantastico alla sua materiale esistenza immortale.
Matilde Marcuzzo
Pingback: I poeti a tempo indeterminato — The Lightblue Ribbon | Mab7's Blog