Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 234) il 27 maggio 2017.
Ricerca, sperimenta, sbaglia: perché sbagliando si impara e si migliora ma solo se da quegli errori si impara qualcosa
Periodo di ferie, distacco fisico e mentale dalla realtà, esplorazione di nuovi posti, culture, usi e costumi: il viaggio è questo. È allontanamento, ricerca, perdersi e ritrovarsi, il viaggio è una lontananza che porta all’avvicinamento di sé, alla scoperta del nuovo. Il viaggio vero, intenso e profondo è quello della mente, dell’anima e dello spirito, una continua ricerca dentro se stessi, un susseguirsi di emozioni, un turbinio di stati d’animo che ti permettono, giorno dopo giorno, di crescere e migliorarti. Già nelle pagine della letteratura antica, si possono sfogliare versi e pensieri che illustrano il viaggio come percorso di formazione personale e prova di conoscenza e di astuzia. Un esempio significativo è “l’Epopea di Gilgamesh”, poema epico che racconta la complicata storia dell’eroe Gilgamesh, impegnato in un lungo viaggio fatto di prove, di speranze e delusioni. Una volta giunto al termine, comprende però che, pur non avendo trovato ciò che cercava, ha raggiunto, senza saperlo, il massimo dei traguardi: una maturazione personale, faticosa, la comprensione del senso dell’esistenza. Altro imprescindibile esempio è il viaggio decennale e circolare di Ulisse che, prima di tornare nella sua petrosa e amata Itaca, si gonfierà di esperienze per saziare la sua curiosità. Un famoso detto dice che l’importante non è la méta, ma il viaggio, perché è quest’ultimo che ti forma, ti arricchisce e ti fa crescere. Ma è anche vero che ogni viaggio ha un fine e una fine, e il fine del viaggio inteso come vita è, nel pensiero comune, la ricerca della felicità, il vedere realizzati i propri sogni. Prendiamo per esempio un viaggio fisico, inteso cioè nel vero senso della parola: l’atto di spostarsi da un luogo all’altro è intrinseco del voler cercare qualcosa di nuovo che ci possa appagare, così come nella vita noi ricerchiamo la felicità che realizzi i nostri desideri.
Ritagliarsi uno spazio da dedicare al viaggio, nella moderna società occidentale, oramai del tutto stanziale, rappresenta il minimo tributo da versare alle tracce mnestiche della nostra iniziale, oggi inconscia, condizione di esseri itineranti. L’impulso a viaggiare è irrefrenabile, fa parte della natura umana, è una passione che divora e arricchisce allo stesso tempo, come il desiderio della felicità. Gli innumerevoli scopi del viaggiare si intrecciano e non sempre sono chiari per chi resta, ma spesso neppure per chi parte; c’è l’irrequietezza, che è bisogno di conoscere cose sempre nuove; far viaggiare permette di conoscere gli altri, ed attraverso gli altri, se stessi. Permette di scoprire alternative inimmaginate, di svincolarsi dai lacci dei sistemi sociali, basati sulla fissità della persona, sulla sua continuità ed immutabilità, considerate come garanzia di onestà e di carattere: le società fanno pressione sugli individui ad essere “una cosa sola”. Ma l’identità umana è mutevole e molteplice, e lo scarto tra l’immagine che gli altri hanno di una persona e quella che lei ha di se stessa, tra quello che è nella realtà e quello che vorrebbe essere, è lo spazio in cui prende vita il desiderio del viaggio. Il viaggio, quindi, come metafora della vita è una delle peculiarità più frequenti in tutte le culture è un concetto trattato molto spesso dai pensatori di ogni epoca, dai mitici viaggi di Erodoto a quello ultraterreno di Dante. Ad un certo punto, però, bisogna fermarsi. Una volta arricchiti è bene godere di tutte le cose che abbiamo imparato. Trasferirle e condividerle con qualcuno senza gelosie e possessività, essere disponibili e grati di quello si ha vissuti, imparare dagli errori.
La curiosità è felicità. E’ un senso di scoperta verso il nuovo che equivale ad innovazione. Nuove esperienze generano maggiore competenza: captare, scrutare e capire qualcosa equivale a migliorarlo. Citando il grande disegnatore statunitense Bil Keane, “La vita non è una gara ma un viaggio da assaporarsi in ogni suo passo lungo il percorso. Ieri è storia, domani è mistero e oggi è un dono: è perciò che lo chiamiamo – il Presente.”
Claudia Siniscalchi