Alitalia, dov’è la prima classe?

Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 232) il 25 marzo 2017.

Le scelte aziendali della compagnia in crisi puntano al ribasso e non alla clientela d’elite

La compagnia già di bandiera, come evidenziato dalle continue notizie che escono sulle testate nazionali, sta affrontando problemi economici non indifferenti: con un network di medio raggio limitato e minacciato dalle compagnie low cost, accompagnato da un lungo raggio esiguo rispetto a quello dei grandi colossi come Lufthansa, il destino della compagnia rimane incerto a soli quattro anni dal “matrimonio” con Etihad Airways che avrebbe dovuto salvarla. Dal 2008 ad oggi, sono state ben tre le compagnie Alitalia ad avvicendarsi: la vecchia LAI (Linee Aree Italiane), la CAI (Compagnia Aerea Italiana) e infine SAI (Società Aerea Italiana). Tre aziende diverse, tre diversi volti di un’unica entità in perenne difficoltà economica, sostenuta dai governi e penalizzata da un management non sufficientemente capace, nonché dall’ostracismo sindacale. Il tutto mentre dare ingenti finanziamenti pubblici a Ryanair è diventato il principale sport nazionale, subito dopo il calcio.

Nell’ultimo periodo, nel tentativo di ottimizzare alcuni risultati operativi e i guadagni, l’Alitalia ha adottato un modello ibrido tra tradizionale e low cost, con l’introduzione nel mese di settembre 2015 di una tariffa economica senza bagaglio da stiva; inoltre, negli ultimi mesi abbiamo assistito alla densificazione delle cabine, ossia una modifica della configurazione interna che ha visto l’aggiunta di altri posti a discapito dello spazio pro capite (gli A319 sono passati da 138 a 144 posti, gli A320 da 165 a 171 posti). Queste due modifiche, messe insieme, hanno amplificato il fenomeno dello sbarco dei bagagli a mano da bordo, un tempo raro e tipico delle sole compagnie a basso costo. Il motivo è semplice: il fatto che si debba pagare per il bagaglio da stiva induce alcuni passeggeri a portare un bagaglio a mano ingombrante, mentre la densificazione delle cabine ha ridotto lo spazio pro capite nelle cappelliere, aumentando dunque il rischio di incorrere allo sbarco del proprio bagaglio da bordo. Se, da una parte, è possibile vendere più biglietti a un prezzo mediamente più basso per incrementare i guadagni, dall’altro si assiste a un – seppur limitato – aumento dei disagi per i passeggeri. La politica tariffaria è stata spinta abbondantemente al ribasso, con alcune tariffe nazionali che partono da 25€ a tratta, e c’è chi si chiede come mai non si stia facendo nulla per massimizzare i risultati economici anche nel contesto della clientela d’elite o premium, quella altospendente che non bada ai costi ed è disposta a pagare di più per avere di più.

Esempio di First Class domestica nordamericana. Particolare dell’interno della cabina di un aeromobile Virgin America.

Una delle mancanze tra le più sentite in tal senso è quella della “Prima Classe”, intesa non come First Class intercontinentale (spaziose suite a bordo dei voli di lungo raggio) ma come classe First domestica in stile nordamericano, con più spazio a bordo, una configurazione meno densa e un servizio di catering dedicato. Negli Stati Uniti sono tantissime le compagnie che adottano tali configurazioni sui loro voli brevi, con le prime file (First) che hanno tra i due e i quattro posti per fila, e tutte le altre file (Economy) che mantengono la classica configurazione di posti fino a un massimo di sei per fila. Con queste configurazioni, le compagnie aeree nordamericane intercettano gli interessi di tutte le porzioni di mercato, puntando contemporaneamente sulla clientela altospendente e su quella sensibile al prezzo o “cost sensitive”. Ultimamente, colossi americani come Delta hanno introdotto nuove tariffe economiche, più convenienti ma con meno servizi, volte a marcare ancora di più le differenze nella scelta del potenziale cliente e ad indurre chi può a scegliere i prodotti di classe First e Business. Va puntualizzato che nel continente americano simili configurazioni sono giustificate sia dall’enorme massa critica di movimentazione dei passeggeri, decisamente più alta di quella europea (e italiana in particolare), che dalla durata di alcuni voli interni (sono necessarie sei ore di volo per spostarsi tra le coste est e ovest degli Stati Uniti). Non è detto, in ogni caso, che una simile impostazione non possa funzionare anche per Alitalia, che ha un network domestico rivolto alla clientela d’elite e un network europeo dove una vera configurazione “First” può ritagliarsi una sua fetta di mercato. Altro fattore interessante è il vantaggio rispetto alle concorrenti europee nell’offrire un servizio di feederaggio (coincidenze) di alto valore, e a 360 gradi: se un businessman russo volesse andare in Sud America, per esempio, potrebbe valutare seriamente l’ipotesi di volare in classe “First” fino a Fiumicino, e da lì procedere in classe Business fino alla sua destinazione, di fatto escludendo dalle proprie potenziali scelte le compagnie concorrenti. Che non sia forse questa la vera ricetta del risanamento dell’Alitalia, dato che i voli brevi sono ormai terra di conquista delle compagnie low cost?

Francesco D’Amico

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