Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 230) il 10 dicembre 2016.
L’alta modificabilità in campo dronistico è il motivo per cui le norme sono così severe?
Negli scorsi mesi abbiamo visto sulle pagine di questa testata come il settore SAPR/droni sia caratterizzato da leggi e tecnologie che viaggiano a due velocità distinte: da una parte, le innovazioni sempre più incisive e volte a rendere ancora più efficienti i prodotti, dall’altra una legislazione che non riesce a stare allo stesso passo e dunque si concentra sulla limitazione della tecnologia, si spera nell’attesa che il mercato si assesti. Nonostante le continue lamentele dei piloti di droni, le norme troppo restrittive applicate dall’ENAC, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, hanno una filosofia di fondo che è condivisibile. Vista la diffusione di questi strumenti, il loro uso continuo da parte di gente non qualificata e i danni che potenzialmente possono provocare, le norme restrittive sono necessarie ai fini della sicurezza. Magari un giorno, come detto all’inizio di questo articolo, leggi e innovazioni troveranno il loro equilibrio e la presa si allenterà fino alla completa stabilizzazione del mercato. Se e quando quel giorno arriverà, nessuno probabilmente potrà compensare i danni attualmente arrecati dalle stesse leggi al settore dei droni, inteso sia come insieme di aziende produttrici e investitrici che come insieme di singoli individui che hanno deciso di diventare professionisti del settore investendo migliaia di euro con un ritorno economico limitato proprio a causa della legislazione eccessivamente restrittiva. Il danno economico attuale è già consistente, sta alterando gli equilibri del mercato e allo stesso tempo sta inducendo associazioni e organizzazioni del settore a far valere i propri diritti di fronte a chi legifera con ricorsi vari e altre forme di protesta; le cose non sono destinate a cambiare nell’immediato, e mentre la bufera burocratica è in corso, potremmo andare a capire i motivi che si celano dietro le eccessive restrizioni. Uno dei motivi, che per alcuni è addirittura da intendersi come un pregio, potrebbe essere quello che vedremo a breve.
Prima di analizzare l’aspetto tecnico che è il fulcro di quest’analisi, vale sicuramente la pena di aprire una dovuta parentesi. Il web, e in particolare il suo lato più social come Facebook, è ormai dominato da foto e video da drone girati nell’abusivismo più totale: esistono innumerevoli operatori che promuovono materiale grafico di dubbia natura, e non serve un occhio da “super esperto” per rendersene conto. Si ignorano i limiti di quota, la distanza minima tra drone e persone, le contromisure da adottare ai fini della sicurezza, le indicazioni sulla manutenzione periodica, le regole dell’aria che valgono tanto per i droni quanto per qualsiasi aeromobile, eccetera eccetera. Questo abusivismo selvaggio, nonostante la presenza delle norme, prospera grazie all’ignoranza della popolazione e alla scarsa capacità da parte delle forze dell’ordine di applicare le norme vigenti. Attualmente, quello che si può fare è sperare che qualche abusivo non arrechi danni tali da penalizzare l’intero settore e chi vi opera con serietà: se tutto “andrà liscio”, forse le norme diventeranno meno restrittive, ma allo stesso tempo si applicheranno non più a macchia di leopardo ma con la dovuta eterogeneità. Dopo questo dovuto monito, è ora possibile passare al lato più tecnico delle limitazioni al settore SAPR.
Attualmente, in questo settore, c’è poca differenza tra i prodotti ampiamente testati dalle grandi multinazionali, sottoposti a innumerevoli prove, e il frutto del lavoro di piccole aziende o singoli individui: quando si registra un drone alle autorità, si ha un ampio margine di modificabilità e personalizzazione, e nessuno vieta ai singoli di costruire droni ex novo, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta. Non molto diversi dai velivoli a pilotaggio remoto costruiti in questo modo sono i velivoli delle grandi case produttrici modificati ad hoc per gli usi più disparati, spesso andando oltre i limiti progettuali di base; nessuno vieta la possibilità di sostituire i motori o alcuni impianti interni, o addirittura di aggiungere strumentazione aggiuntiva che va poi a incidere sul peso, sul bilanciamento, eccetera. Anche un drone “puro di fabbrica”, per raggiungere la massima certificazione, la cosiddetta autorizzazione per area critica, ha bisogno del paracadute e del terminatore di volo (un dispositivo ad una frequenza diversa dal controller che spegne il drone in volo in caso di emergenza), entrambi dispositivi non impiantati dalle case produttrici ma prodotti dai singoli operatori o, per loro, da piccole e medie imprese pioneristiche del settore che spesso speculano economicamente su queste modifiche. E’ qui che emerge il reale quadro della situazione: le norme di fatto impongono che, in uno o più stadi di sviluppo e/o uso, i droni siano modificati secondo un modus operandi diverso da quello applicato da una multinazionale costruttrice, con parametri di sicurezza e testing ben diversi, e senza un unico vero standard universale.
Che gli standard di sicurezza e di affidabilità a monte siano diversi, è praticamente ovvio: la multinazionale conduce una certa tipologia di test forte di una disponibilità economica non indifferente, e produce un numero di droni tale da rendere evidenti, su larga scala, difetti di produzione che hanno scarse probabilità di emergere nel singolo esemplare. I droni “fai da te” e quelli modificati, definizione che forse rende poca giustizia alle piccole e medie imprese, certificate, che si sono avventurate in questo settore come costruttrici, ma che forse calza a pennello col messaggio trasmesso da questo articolo, sono soggetti a molti meno controlli e hanno una diffusione tale da rendere un difetto di fabbricazione catastrofico statisticamente meno propenso a manifestarsi su larga scala. Questo forse significa che il settore del mercato dronistico che si occupa di produzione deve essere lasciato nelle mani delle multinazionali, con un rischio concreto di degenerare in un monopolio o duopolio così come avviene nel mercato degli aeromobili civili, dove Boeing e Airbus hanno praticamente la supremazia del settore? Sì e no, nel senso che la concorrenza è sempre la benvenuta in quanto va a beneficio del consumatore finale e dei suoi clienti, ma deve essere rimodulata in modo tale da limitare la diffusione di aeromobili a pilotaggio remoto, o di determinati set di modifica, non opportunamente testati in modo da garantirne la sicurezza. Senza simili presupposti, è ovvio che chi legifera imposterà le bozze di legge mettendo i droni “fai da te” e quelli prodotti dalle grandi aziende sullo stesso piano, ergo imponendo condizioni mediamente più restrittive ad ambo le tipologie in quanto i secondi andranno sempre e comunque a pagare le troppe libertà concesse ai primi.
Francesco D’Amico