Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 250) il 6 novembre 2019.
Una voce femminile per la scrittura
Nel suo saggio femminista, A Room of One’s Own (1929), Virginia Woolf, una delle più importanti autrici del ventesimo secolo, sottolinea l’importanza dell’educazione e dell’indipendenza femminile. Come suggerisce il titolo, la scrittrice spiega che le donne hanno bisogno di uno spazio tutto loro. Nel 1929, la Woolf tenne alcune conferenze a Newnham e Girton, due college all’interno dell’Università di Cambridge. A Room of One’s Own è un saggio esteso basato su queste due lezioni. La Woolf fornisce due argomenti principali: le donne hanno il diritto di essere istruite e indipendenti; hanno anche il diritto di essere rispettate come autrici. Hanno bisogno, letteralmente, di una stanza tutta loro per scrivere. Il narratore è noto con molti nomi: Mary Seton, Mary Carmichael e Mary Beton. Simbolicamente, questo significa che il narratore può essere qualsiasi donna. Il primo punto che Woolf afferma è che le donne non hanno accesso a uno spazio per scrivere e prosperare se non provengono da famiglie ricche lamentando il fatto che non sia possibile per le donne lasciare il segno nella tradizione letteraria se queste non abbiano le stesse opportunità degli uomini. Per illustrare i suoi punti salienti dell’opera, la Woolf utilizza uno scenario immaginario. La narratrice, Mary, è docente in una finta Università. Cerca di accedere ad ambienti universitari riservati prettamente agli uomini – gli unici che hanno il diritto di essere studiosi – ma non le è permesso. Una volta, era impensabile che le donne studiassero all’Università. L’estro di questa grande madre della scrittura femminile del ventesimo secolo, era ambivalente, il suo problema era anche quello di stabilire, capire se, quando ella stessa scrivesse, lo facesse come una donna o bene come un uomo. E così si arriva a comprendere che il suo incedere su carta era sperimentale, una sorta di parodia modernista. “Don’t you may say we asked you to speak about women and fiction” scrive l’autrice, quindi non si può affermare con certezza se si parli di donne e romanzo, di donne e scrittura creativa, giocando quasi con una voce narrante mobile, senza identità fissa che resterà il fulcro centrale del romanzo modernista sfasciando rigorosamente l’emblema e la figura del narratore onnisciente.
Un Io fittizio nel quale la Woolf stessa si identificherà a metà del quinto capitolo e attraverso il quale all’inizio del sesto porterà il lettore sempre più verso la comprensione della stanza tutta per sé. Un luogo mentale ma, allo stesso tempo una vera e propria stanza nella quale le donne potevano isolarsi e scrivere con tutta tranquillità, esprimere il loro genio creativo senza impedimenti e dove non rischiavano lo scontro con l’altro sesso, diveniva il centro del mondo produttivo femminista agli occhi del mondo, a quelli di una società patriarcale e bigotta, agli occhi della Woolf stessa. Il viaggio saggistico si conclude con la consapevolezza che il vero stato dell’essere poteva essere raggiunto soltanto attraverso la cooperazione dei due sessi opposti e di conseguenza delle loro menti. Uomo e donna possono lavorare insieme ma, ognuno contribuendo al valore della propria differenza e indipendenza. Ecco la compiutezza dell’opera, l’essere potente e forte di una donna che dà voce a tutte le altre donne e abilmente a se stessa, riconoscendone l’indipendenza maschile. Virginia Woolf, famosa soprattutto per la sua frase “as a woman, I have no country”, prematuramente diviene diamante raro dell’animo femminile in società, e ben si colloca nel futuro prossimo scansando l’idea di una sola possibile superiorità maschilista. Questo gioiello raro, la donna, Incastonandosi perfettamente al dito di un paese libero, col suo dire, diviene cittadina del mondo prossimo che di lì a poco avrebbe fatto il suo galante ingresso nel modernismo creativo.
Matilde Marcuzzo
L’ha ripubblicato su "La spada ferisce, la penna trafigge!" _ A lady in the news .
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