Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 249) il 30 settembre 2019.
Il cuore pulsante della vecchia Calabria ora rischia di scomparire
Un tempo costituivano l’anima, la linfa vitale della Calabria così come di tante altre regioni, e ora rischiano di scomparire del tutto: sono già tanti i piccoli paesi completamente disabitati, ossia con zero abitanti, e si stima che tanti altri si aggiungeranno alla lista nell’arco di uno o due decenni al massimo. Tanti altri paesi non arriveranno a tanto ma vedranno comunque una riduzione drastica della propria popolazione, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Il tutto sta avvenendo inesorabilmente, ma con le dovute eccezioni: alcuni paesi non solo resistono adeguatamente allo spopolamento generale, ma si reinventano diventando piccole eccellenze del turismo, dell’arte e dell’urbanistica, spesso dando vere e proprie “lezioni” a centri urbani molto più grandi.
Andando ad analizzare statisticamente i piccoli paesi calabresi che sono riusciti, seppur a fatica, a contrastare il totale abbandono, la cosa più importante che emerge da una prima analisi è la mancanza di un fattore comune alla base di questo trend in controtendenza. Non c’è, necessariamente, una caratteristica comune a questi paesi: non sono principalmente di montagna o prossimi alle coste, non sono generalmente collegati meglio di altri, non partono necessariamente da un bacino di abitanti più ampio. Ci sono, ed è facile notarlo, paesi morenti con molti abitanti che non distano molto dai centri nevralgici dei trasporti via terra, e paesi molto isolati che invece riescono a reinventarsi e ad ospitare giornate di arte, sport e letteratura. Ad accomunare i paesi “rinascenti”, tuttavia, è il senso comune di appartenenza, la voglia di fare qualcosa, il giusto amalgamarsi di realtà associative ed istituzioni le quali trovano punti d’incontro e sopperiscono alle mancanze e alle criticità con la giusta ricetta di capitale umano e interventi normativi. Ci si guarda intorno, si scovano le eccellenze locali e si decide di partire da queste: antichi palazzi in rovina diventano B&B e portano visitatori, luoghi storici conosciuti solo agli autoctoni vantano targhe descrittive in più lingue, si ospitano eventi regionali e capaci di attirare molti turisti, si fa il grande passo di sbarcare sui media (social e non) promuovendo la propria realtà locale come il posto ideale dove trascorrere brevi periodi di tempo, si reinventano le eccellenze artigianali del luogo trovando i giusti canali di vendita per esportare i prodotti creati. Piccole strategie che, fortuna permettendo, portano anche a risultati notevoli come all’acquisto e al restauro, da parte di soggetti privati, di abitazioni abbandonate con la garanzia di avere persone disposte a usufruirne quantomeno in occasione delle vacanze estive. Quest’ultimo è un processo molto interessante, spesso facilitato dalle istituzioni, dato che non mancano i primi cittadini che sono riusciti a rivoluzionare i propri centri vendendo case a cifre veramente irrisorie, anche un solo euro, purché gli acquirenti si dimostrino interessati a mantenerle per anni.

L’embematico paese fantasma di Pentedattilo, nei pressi di Reggio Calabria.
Il tutto avviene, ovviamente, rimanendo coi piedi per terra e con le dovute cautele: è impensabile che i piccoli centri possano sperimentare una rinascita tale da renderli popolosi e attivi come un tempo, in quanto l’economia moderna ha decretato e consolidato il successo dei grandi centri abitati a discapito delle economie agricole e artigianali. Tuttavia, il potenziale di vocazione turistica dei piccoli centri, combinato al clima favorevole che oramai estende la stagionalità estiva calabrese da marzo a ottobre, ossia a otto mesi all’anno su dodici, può andare molto vicino al recupero pressoché totale di centri che altrimenti andrebbero in rovina.
Francesco D’Amico