“Sono andato a sbattere”, il racconto di un gioco del destino

Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 244) il 20 ottobre 2018.

Un incidente in bici, il travaglio del ricovero, la resilienza e la voglia di rinascere

Ci sono attimi che cambiano la vita, e si può affermare che la vita è cambiata dal susseguirsi di tanti piccoli attimi, e alcuni di essi influenzano l’insieme in modi molto più netti rispetto agli altri. E’ la conclusione alla quale arriva Michele Molinari, artista, fotografo, giornalista e scrittore nella sua ultima opera, “Sono andato a sbattere – resilienza: come trasformare i traumi in occasioni” edito da Il Rio Letture. Un libro dalla forte connotazione autobiografica in cui si descrive una giornata come tante altre, un normale giro in bici che culmina con un incidente e col trasferimento d’urgenza presso un ospedale. L’inizio di un’esperienza inaspettata e destinata  a lasciare il proprio segno.

Il ricovero d’emergenza per un incidente è un’esperienza che, purtroppo, tutti sperimentano in modo diretto o indiretto. Se non la si vive in prima persona, la si vive in terza quando apprendiamo di tragici incidenti che colpiscono amici o parenti, e ci ritroviamo anche noi per i corridoi degli ospedali in attesa di risposte, di certezze, di belle notizie. Se capita a un artista come Molinari, da quell’esperienza – che per fortuna in questo caso ha un lieto fine – si estrapolano memorie e ricordi da rendere in formato artistico agli altri. Nel caso di “Sono andato a sbattere”, passano diversi anni tra il momento dell’incidente e del successivo ricovero, e il momento in cui l’autore decide di trasmettere la propria impronta in memoria ai lettori. L’esperienza del ricovero d’emergenza dalla durata complessiva di una settimana diventa così un tributo artistico, una necessità di plasmare ciò che è principalmente astratto, permutandolo in una descrizione fisica che tutti possono leggere e dalla quale chiunque può trarne consigli specifici.

L’esperienza del ricovero viene trasmessa al lettore in tutta la sua naturalezza e franchezza. Non è un racconto romanzato, non c’è un mix anomalo e poco credibile di fatti reali e inventati, non esistono strane coincidenze e il tutto viene reso come se fosse un diario scritto subito dopo i fatti accaduti. Si parte dall’abitudine spezzata nel momento in cui avviene, in modo improvviso e inaspettato, l’incidente; si continua col ricovero d’urgenza, dove l’autore e protagonista scopre in modo progressivo, spesso anche origliando i medici, i danni alle vertebre subiti; il tutto procede con i ricordi che si accumulano a fiotti, con la descrizione delle sensazioni e della costrizione fisica che si sperimentano in un letto d’ospedale, e culmina col lato più umano dell’interazione con altri ricoverati, alcuni dei quali con prospettive di vita e capacità di recupero ben lontane da quelle del Molinari.

Il risultato è un racconto umano e diretto, una lettura immediata che coinvolge il lettore proprio per il suo stile discorsivo e naturale in cui la descrizione dei fatti in stile “diario personale” si mescola, senza stonare, al ricordo, tanto per fare un esempio, dell’indovina che quattro decenni prima lesse la sua mano, indicando la cosiddetta “linea della vita” e affermando che avrebbe, un giorno, rischiato di spezzarsi, ma poi avrebbe continuato inesorabile. Un’avventura di una settimana in cui l’autore scopre il mondo che si nasconde dietro alle mura di un ospedale, e si ritrova a interagire – oltre che coi medici che lo seguono – anche con un particolare paziente e compagno di stanza, chiamato Marco, che di punto in bianco dice cose senza senso e più volte tenta la fuga dall’ospedale, bloccata – almeno in un’occasione – dallo stesso protagonista. Un’avventura nell’avventura, un modo per dire a tutti che essere pazienti ricoverati non significa necessariamente essere inattivi e diventare persone di serie B, e che anche in una fase della vita particolare come un ricovero d’emergenza di una settimana, si possono compiere numerose buone azioni a favore di chi ci sta intorno.

Francesco D’Amico

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