Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 244) il 20 ottobre 2018.
Quando l’aggressività umana e la violenza richiamano disagi e stereotipi
La condotta aggressiva umana è stata da sempre oggetto di grande interesse, sia per la cosiddetta comunità degli studiosi di psicologia sociale e sia per la semplice società largamente intesa. Il mondo della ricerca scientifica, in riguardo al comportamento aggressivo, fa riferimento al fatto che il termine “aggressività” deriva dal latino “adgredior” e significa tanto letteralmente “avvicinarsi” quanto ulteriormente inteso come “assalire” o “accusare”. Tutto questo perché in una connotazione negativa l’aggressività è vista come ostile, quindi un atto di aggressione che nasce dall’individuo per sentimenti di rabbia, ma in una connotazione positiva può anche essere vista come un’aggressività strumentale. Questo ultimo aspetto è, infatti, molto vicino ai giorni nostri, visto che si tramuta in una aggressività strumentale quale strumento, appunto, per raggiungere degli obiettivi o addirittura superare delle difficoltà. Capita, non di rado, di sentir dire che quell’uomo è un uomo che “aggredisce la vita”, sviluppando una positività al riguardo, tipica dei nostri tempi.
Da tutto questo possiamo capire come l’aggressività sia comunque un elemento connaturato all’essere umano, qualcosa da non sottovalutare oltre che da studiare nelle singole diversità. Gli studi eccellenti, ci hanno dimostrato come essenzialmente ci siano due tipi di approcci in riguardo al comportamento aggressivo sviluppato da un individuo. Il primo è l’approccio disposizionale, secondo il quale l’uomo sarebbe per sua natura portato a comportarsi in maniera aggressiva per fattori biologici e genetici, come dire che avrebbe queste pulsioni e questi istinti innati. In un’altra prospettiva, invece, che viene definita approccio situazionale, si ritiene che il comportamento aggressivo umano derivi da fattori ambientali, quindi da situazioni esterne all’individuo e non interne, che in pratica farebbero attivare un comportamento aggressivo in base alle diverse situazioni che si possono vivere nella vita.
Alla luce di tutto questo è facile comprendere come l’aggressività umana possa avere un destino duplice, nel senso che può tramutarsi in dei comportamenti accettabili dal punto di vista sociale oppure scatenarsi in comportamenti violenti. Tali comportamenti sono sicuramente destinati a produrre dolore negli altri e sono altresì l’interesse principale dei diversi media, tanto da non risultare semplice comprenderne la differenza. Ci chiediamo, dunque, cosa sia realmente la violenza. La violenza è un passo successivo all’aggressività umana, un vero e proprio comportamento aggressivo rivolto contro persone o contro cose, che ha lo scopo rispettivamente di ferire o uccidere, danneggiare o distruggere, con l’obiettivo di imporre un dominio. Ecco, la differenza è tutta qui: nella violenza ci si pone lo scopo di imporre un dominio, cosa che fa chi stupra o chi ammazza.
Prima di invitare al dialogo istituzioni, società civile e comunità scientifiche, allora, sarebbe opportuno aver ben chiare queste differenze. Produrre una conoscenza che nasca da fondate basi teoriche, ci aiuta a comprendere, infatti, come l’aggressività umana può avere diversi livelli di intensità che vanno dalla semplice condotta aggressiva fino alla violenza, ma che possono diventare anche crudeltà o in determinate situazioni una volontà estrema di distruzione. Riportiamo allora i nostri ragionamenti, quando leggiamo articoli di giornale o seguiamo i diversi media, a riflessioni tanto più preziose quanto più scarse. Ricordiamoci fedelmente, infatti, che la violenza ha sempre in sé l’aggressività, ma molte forme di aggressività non sono violente.
Antonio Mirko Dimartino