Stephen Hawking: uno per “tutto”, “tutto” per uno

Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 240) il 24 marzo 2018. Per motivi di spazio, la versione cartacea non è integrale.

Una vita al servizio della mente

Fisico dalla mente visionaria, divulgatore scientifico, guru della cosmologia moderna: Stephen Hawking, morto a 76 anni il 14 marzo scorso, non è stato solo un brillante scienziato, ma un’icona pop dei nostri tempi, familiare tanto ai fan della serie tv I Simpson quanto a quelli di Star Trek, e ultimamente anche alle giovani seguaci della boy band One Direction o ai patiti di The Big Bang Theory.

La storia della sua stessa vita è stata omaggiata nella pellicola del 2014 di James Marsh “La teoria del tutto” (The theory of everything). L’attore Eddie Redmayne vestendo i panni del giovane Hawking, si è aggiudicato il Premio Oscar come miglior attore. La pellicola è l’adattamento cinematografico della biografia “Verso l’infinito” (Travelling to Infinity: My Life With Stephen), scritta da Jane Wilde Hawking, ex-moglie del fisico, pubblicata in Italia da Edizioni Piemme.

Provando a ripercorre la sua esistenza, la prima cosa da dire è probabilmente che tra Hawking e i libri non vi fu amore a prima vista. A nove anni i suoi voti erano tra i peggiori della classe; tuttavia si narra che il piccolo “Stevie” coltivasse un particolare interesse per radio, orologi e tutto ciò che potesse essere smontato per studiarne il funzionamento. Ecco perché, nonostante pagelle non eccelse, insegnanti e compagni gli avevano affibbiato con fiuto profetico il nomignolo di “Einstein”.

In gioventù, Hawking aveva sviluppato una genuina passione per la matematica, ma il padre Frank sperava che il figlio diventasse un dottore. Eppure, all’Università di Oxford non esisteva la facoltà di matematica, quindi egli si vide “costretto” a ripiegare sulla fisica, laureandosi con lode con una tesi in Scienze Naturali dopo tre anni. Subito dopo la laurea si trasferì a Cambridge dove approfondì i suoi studi in cosmologia, preferendo le grandi leggi dell’universo (che erano «ferme agli anni 30», dirà) al comportamento delle particelle subatomiche (un’area di ricerca molto dinamica, ma da lui definita «simile alla botanica»).

Ha solo 21 anni, Hawking, quando dopo alcune difficoltà motorie gli viene diagnosticata la Sla, o sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neurodegenerativa che gli avrebbe lasciato, stando ai medici, solamente due anni di vita. Una diagnosi fortunatamente sbagliata, o incompleta, sostituita più tardi dall’ipotesi di un’atrofia muscolare progressiva: una patologia che lo ha costretto a vivere quasi tutta la vita sulla sedia a rotelle, costringendolo via via a una paralisi quasi integrale del corpo ma che, per fortuna, ha un decorso più lento, offre un’aspettativa di vita decisamente più lunga della Sla e gli ha consentito di vivere fino a 76 anni. L’astrofisico, nonostante lo shock, proseguì gli studi di cosmologia e, successivamente sposò Jane Wilde (da cui avrà tre figli).Nel corso della sua straordinaria carriera, lo scienziato britannico ha collezionato un numero sterminato di premi e onorificenze. Oltre a essere membro della Royal Society (da cui ha ricevuto le prestigiose medaglie Hughes e Cople) e della Royal Society of Arts, nel 1986 è stato ammesso alla ristrettissima cerchia della Pontificia Accademia delle Scienze. Nel 2009, invece, Barack Obama gli ha consegnato la Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza degli Stati Uniti d’America. Un po’ a sorpresa, nella sua bacheca manca il riconoscimento forse più ambito, il premio Nobel.

I buchi neri erano di certo la sua più grande passione ed è questo il settore dove ha realizzato i suoi lavori maggiori. Innanzitutto, elaborando per primo le leggi termodinamiche che li descrivono, rendendoli reali e non più solamente un’ipotesi fantascientifica. Poi, dimostrando che questi oggetti (per le loro caratteristiche di temperatura ed entropia) non erano completamente bui, bensì irradiavano particelle subatomiche: da qui la definizione della cosiddetta radiazione di Hawking, una nuova entità cosmica capace di rimpicciolire progressivamente la massa di un buco nero, fino alla sua completa evaporazione. Ciò è stato dimostrato sperimentalmente nel 2014.

Astrofisica e cosmologia sono le dimensioni scientifiche dove, da sempre, si muovevano le sue intuizioni, regalandoci i suoi contributi più grandi. La sua unica missione è stata comprendere le leggi che descrivono l’Universo, quasi a volerlo abbracciare tutto quanto, nel tentativo di scrivere nero su bianco l’intera storia del tempo.Nel 1988 Hawking pubblica il suo lavoro più famoso: non un paper scientifico, bensì un saggio divulgativo, dal titolo “A Brief History of Time” (in italiano: Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo): un testo creato ad hoc per rendere accessibile al grande pubblico i concetti della cosmologia moderna. E che diventa subito un bestseller, trasformando il suo autore in una celebrità.Si dice che Hawking avesse un quoziente intellettivo compreso tra 160 e 165 punti, pari a quello di Einstein o Newton, e che da giovane sfiorasse addirittura la soglia dei 200. Lo scienziato non lo ha mai confermato e anzi, ritiene che vantarsi del proprio Qi sia un atteggiamento da perdenti. Secondo il fisico, l’intelligenza non è ciò che si misura attraverso i test, ma è piuttosto “la capacità di adattarsi al cambiamento”. E anche in questo, di fatto, con la sua vita tortuosa ma piena di successi, rimane un esempio di eccellenza. Nel 1985, Hawking viene sottoposto a una tracheotomia per colpa di una grave polmonite, perdendo la capacità vocale, comunicando solo grazie al supporto della tecnologia. Dapprima, grazie a un sintetizzatore vocale che trasforma in suono quel che lo scienziato digita su un apposito computer producendo una voce artificiale, dall’accento curiosamente americano, che ormai lo scienziato considerava la sua.Nel 1994, il leggendario gruppo prog-rock Pink Floyd pubblica l’album The Division Bell. Nella nona traccia, Keep Talking, compare la voce metallica di Hawking che parla per mezzo del suo sintetizzatore: «Per milioni di anni gli uomini vissero come animali. Poi qualcosa accadde che scatenò il potere della nostra immaginazione. Imparammo a parlare». La “collaborazione” ha avuto un seguito nel più recente The Endless River (2014), dove l’astrofisico fa capolino nel brano Talkin’ Hawkin’. Nel 2007, all’età di 65 anni, Stephen Hawking ha sperimentato per alcuni secondi l’assenza di peso in volo parabolico (tradotto:la microgravità viene simulata attraverso la caduta libera dell’aereo) grazie alla compagnia Zero Gravity Corporation. Eclettico, forte come la roccia, tenace, mente aulica e geniale, Hawking ha vissuto pienamente tutti i suoi giorni, nonostante la sua grave malattia. Lo ha fatto abbracciando quel “tutto” che forse comprendeva, non solo il grande mistero delle leggi dell’universo, ma quello della vita stessa, trasformando ogni difficoltà in successo attraverso la sua grande mente. Un Io, una mente a servizio del “tutto” che a sua volta si ridimensionava in lui, trovando coerenza e concretezza. “Noi vediamo l’universo come lo vediamo perché esistiamo.” (Stephen Hawking)

                                                                                                               Matilde Marcuzzo

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3 risposte a Stephen Hawking: uno per “tutto”, “tutto” per uno

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  3. mab7 ha detto:

    L’ha ribloggato su Mab7's Blog.

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