Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 239) l’1 marzo 2018.
Una band che plasma i successi del momento in versioni ironiche
“Sono Scott Bradlee. Da molto tempo ho una relazione di amore/odio con la musica pop! Voglio dare il miglior contributo possibile al lessico pop. Voglio incoraggiare altri ad allargare i confini dei generi fornendo loro gli strumenti per farlo. Insieme a questo, voglio creare un universo alternativo della canzone…”.
La Postmodern Jukebox, o PMJ in breve, è una band dal genere veramente unico. Il gruppo musicale rivisita canzoni pop moderne reinventandole attraverso il jazz, il ragtime e lo swing, stili popolari nel 1920 e fino al 1950. Scott Bradlee è il pianista compositore che ha fondato la band nel 2009 e, da allora, il gruppo ha creato oltre una dozzina di album con la collaborazione di oltre 50 cantanti e generato oltre 500 milioni di visualizzazioni su YouTube. Le esibizioni dal gusto retrò dei PMJ, non sono solo canzoni, ma veri spettacoli teatrali infusi con la commedia e la seduzione. Si può affermare con tutta tranquillità che la band crea un sacco di divertimento sul palco durante le sue esibizioni esalando note ad alta energia indietro e poi avanti, nel tempo. La formazione di Scott Bradlee plasma le hit più celebrate in versioni sofisticate e ironiche. Il lavoro di make up sonoro produce miracoli: “Timber” di Pitbull e Ke$ha diventa un doo wop anni 50, “Thrift Shop” di Macklemore e Ryan Lewis vira a ragtime, “Story Of My Life” degli One Direction si trasforma in nostalgico New Orleans jazz. Postmodern Jukebox, un mare di canzoni pop e tutte rivoltate come calzini. L’ensemble americano guidato dal Bradlee, si picca quindi di riscrivere la storia del pop. O meglio, di offrirne una storia alternativa. Sul loro sito ufficiale (postmodernjukebox.com), il senso della lunga avventura è svelato in ogni dettaglio, canzone su canzone, cover su cover. La PMJ rappresenta un fenomeno musicale nato in un semplice canale video, fino a raggiungere oggi i 3 milioni di follower; un vero e proprio gruppo di performer all’interno del quale si avvicendano, nel corso degli anni e delle canzoni, musicisti e cantanti dalle più svariate provenienze. Non sarà sfuggito ai fan più affezionati, infatti, che alcuni dei cantanti di maggiore spicco provengono dal mondo dei talent show americani; Scott Bradlee mostra quindi di avere un tocco magico non solo per trasformare brani, ma anche nell’affinare interpretazioni e vocalità di artisti spesso spinti verso derive decisamente pop e commerciali.
È un progetto che può essere certamente definito postmoderno, ma, a testimonianza della sua articolazione, anche neo-rétro, oppure furbo-ingenuo, oppure simpatico-saputello, oppure altro ancora. In ogni caso funziona benissimo, visto che ogni nuovo brano inserito nel sito della formazione viaggia a colpi di milioni di clic. Proprio il sito, anziché gli album o i download o la pagina Facebook (che in proporzione non ha molti follower), funge da altoparlante privilegiato del Jukebox Postmoderno. Ciò che stupisce è l’essenzialità della presentazione: le pagine sono strutturate in modo sobrio, per non dire povero, e i video sono praticamente tutti girati con telecamera fissa nella casa di Bradlee, dove l’unico arredo fisso è il pianoforte. Dettagli di poco conto, peraltro, poiché il bello sta proprio nel vedere/ascoltare i pezzi uno dopo l’altro, esattamente come un jukebox sempre aggiornato dei successi del momento, riproposti magistralmente con tocchi d’ironia e abili variazioni armoniche.
Il collettivo Postmodern Jukebox iniziò la propria attività quando Scott Bradlee pubblicò dei video girati con alcuni amici del college nel suo appartamento in Astoria, Queens (New York). Oggi propone tappe in America ed in tutta Europa. La data del 4 dicembre rappresenta l’ultima tappa italiana di un 2017 che ha visto la PMJ molto presente nel nostro paese, con diversi appuntamenti sparsi sul territorio (Roma, Milano, Padova, Fiesole). La natura “composita” di questo collettivo di artisti ben si presta ad un assetto quasi da tour permanente: le date in questi ultimi tre anni sono state numerosissime e sparse in tutto il mondo. Il trucco per riuscire a reggere il ritmo? Creare diverse “squadre” di musicisti, cantanti e ballerini che, alternandosi, possano suonare allo stesso tempo in diversi luoghi. Effetto collaterale positivo: generare un po’ di variabilità per il pubblico, che ha modo tornare a sentire la PMJ più volte senza il rischio di ascoltare sempre gli stessi brani. Ogni spettacolo della PMJ si conferma straordinario dal punto di vista del virtuosismo dei musicisti e dei cantanti; tutti i brani suonati sono popolarissimi e riconoscibili ma reinterpretati in modo magistrale, al punto di superare spesso gli originali a cui si ispirano. Ogni show è di durata breve e le motivazioni alla base di ciò, probabilmente sono da ricercare nell’impostazione del tour stesso: se si vuole tornare così tante volte nello stesso paese (e nella stessa città) a pochi mesi di distanza forse occorre lasciare un po’ di desiderio inappagato tra gli spettatori. In questa data, il gioco sembra riuscito: resta da vedere se per il futuro la capacità di stupire con musicisti e brani sempre nuovi permetterà alla PMJ di tenere legata a sé la platea dei propri spettatori. Il 2018 è una sfida aperta: ci vediamo a Roma in maggio, PMJ!
Matilde Marcuzzo
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