Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 228) il 24 settembre 2016.
Nuove mostre ci portano in terre lontane e aprono la nostra mente
Ancora una volta Michele Molinari, volto noto ai lettori della testata il Lametino, si conferma una fonte d’arte caratteristica, e si ripropone nel settore delle installazioni visuali e audio. In questo mese di settembre, nella sua Mantova, e in collaborazione con altre figure, ci saranno ben due mostre a tema caratteristico che vogliamo condividere con piacere coi nostri lettori. Reduce degli anni passati in Argentina, a Buenos Aires, Michele Molinari ci propone, a partire dal 16 settembre, “Connessioni Argentine”, immagini che richiamano la capitale di quella “piccola Italia” che si trova in Sud America, e i suoni del caos che la caratterizza. L’opera si pone come una specie di dialogo fotografico tra le foto di Molinari e dell’artista Maria Zorzon, argentina di nascita ma con origini friulane. Il primo propone foto di architettura urbana, la seconda dei ritratti, due generi diversi accomunati dalla scelta artistica di essere proposti in bianco e nero, e dal background caratteristico della movimentata capitale argentina.

Buenos Aires: Avenida Callao.
Gli sfondi di Buenos Aires, e dell’Argentina in generale, così come viene descritta e mostrata non è turistico, ma ha uno stampo locale e genuino: lo scopo della mostra non è far vedere la capitale argentina per stimolare potenziali turisti a visitarla, ma mostrarla in tutta la sua naturalezza architetturale, facendo nascere in chi visita la mostra quella sensazione particolare per la quale l’Argentina è il mondo, è casa nostra, e casa nostra è l’Argentina. Un’architettura che fa sentire a casa, ma che mostra segni di fatiscenza e richiama uno stile ormai d’altri tempi, gli anni ’70 del secolo scorso. Se lo stampo di Molinari è architettonico, quello della Zorzon è umano. Mostra i volti delle persone, di questi argentini figli di emigranti, soffermandosi molto sui gringos, contadini del nord del paese per lo più eredi degli emigranti italiani di origine friulana che nell’Ottocento decisero di stabilirsi lì. Lo stile fotografico è quello del resoconto emotivo, della descrizione delle persone e delle professioni, passando anche per le loro emozioni; il tutto è decisamente naturale e spontaneo, non ci sono pose prestabilite, non è una sfilata di moda, e proprio per questo è tutto così reale. Nel complesso, è proprio questo punto di incontro tra architettura ed espressioni facciali degli autoctoni, tra fotografia urbanistica e umanistica, a delineare le Connessioni Argentine.
E’ con lo stesso spirito culturale cosmopolita che il secondo appuntamento con protagonista Michele Molinari, la mostra “La Diversità come pilastro” ci pone di fronte ad una questione molto importante è ora più che mai attuale. Nella nostra società moderna, siamo soliti associare a singole persone o a gruppi di persone delle parole, spesso con connotazioni negative, spesso per marcare caratteristiche fisiche. Si raggruppano gli individui per religione, colore della pelle, professione, area geografica nella quale vivono, e lo si fa con molta approssimazione dato che questi raggruppamenti di fatto annullano l’eterogeneità degli esseri umani. Come la Scienza ci insegna, infatti, ciascun essere umano è unico per corredo genetico, esperienze di vita e sviluppo cerebrale, e portare avanti una politica sociale di stereotipi e di eccessive esemplificazioni sicuramente non aiuta. Con La Diversità come pilastro, si vuole fare della varietà dei singoli una ricchezza da saper apprezzare e condividere; con questo secondo appuntamento mantovano, la fine del mese di settembre 2016 si profila ricca di cultura.
Francesco D’Amico