Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 221) il 3 ottobre 2015.
Il mercato è distorto da accordi sottobanco e progetti contrari agli interessi della collettività
Qualche mese dopo l’incendio che ha ridimensionato le operazioni al Terminal 3 di Fiumicino, l’amministratore delegato di Alitalia, Cassano, ha lanciato un ultimatum ad AdR, Aeroporti di Roma, società che gestisce il sistema aeroportuale della Capitale: se non si punta sulla qualità operativa e infrastrutturale, la compagnia già di bandiera sarà costretta ad investire altrove. Apriti cielo. Subito i cosiddetti “malpensanti”, i fan nel cuore e nell’anima dello scalo di Malpensa, hanno ipotizzato un ritorno in pompa magna di Alitalia presso la brughiera, non perché esplicitamente dichiarato ma per il semplice fatto che, tolto Fiumicino, l’unica alternativa è Malpensa. La cosa è finita lì e, a sorpresa, alla vigilia di settembre la società SEA che gestisce gli scali di Linate e Malpensa ha annunciato una conferenza stampa con Ryanair, compagnia irlandese leader del settore low cost: come prevedibile, gli irlandesi hanno annunciato l’apertura di una nuova base in brughiera, l’assegnazione di un Boeing 737 allo scalo e l’apertura di quattro rotte.
L’ingresso irlandese, preso singolarmente, non è un problema: aiuterà sicuramente ad aumentare il traffico di Malpensa per rimediare all’abbandono del gruppo Air Berlin, trasferitosi in massa a Linate. Il problema è ciò che la presenza di una seconda base low cost in brughiera può comportare. Andiamo ad analizzare la situazione nel suo complesso: Milano ha tre aeroporti, Linate, Malpensa e Orio. Linate è il fulcro delle attività per le compagnie tradizionali, è quasi controllato da Alitalia e compagnie partner, ma ha seri limiti infrastrutturali e non può avere voli di lungo raggio. Orio è uno scalo a vocazione low cost praticamente dominato da Ryanair, con un settore cargo promettente. Malpensa è una macedonia sottoutilizzata, ha voli intercontinentali di tante compagnie diverse, è il primo polo italiano per il cargo ma il suo medio raggio è dominato dalla low cost easyJet che, udite udite, non mobilita cargo.
Un sistema forte, quello milanese, ma con un grandissimo difetto: nessuno dei tre scali ha un hub carrier vero e proprio, ossia una compagnia che renda lo scalo stesso una base utilizzata per gestire le coincidenze dei passeggeri e del cargo tra il medio e il lungo raggio. Non è quello che Alitalia costituisce per Fiumicino, insomma. La stessa Alitalia non può essere considerata l’hub carrier di Linate: non vi può operare il lungo raggio e gestisce le sue coincidenze solo relativamente all’Italia e all’Europa (nel secondo caso grazie al supporto dei partner come la già citata Air Berlin). Ryanair non è l’hub carrier di Orio: ha quasi il monopolio dello scalo ma il suo modello di mercato è il point-to-point, punto a punto, che non interessa quindi le coincidenze di passeggeri e cargo, e non ha il lungo raggio. EasyJet non è l’hub carrier di Malpensa: segue lo stesso modello di mercato di Ryanair, non ha il lungo raggio e, come è stato già detto, non mobilita merci.

L’Antonov An-225 Mriya, “Sogno”, è l’aereo più grande del mondo e si occupa di trasporto strategico. Fotografato da Giorgio Varisco a Milano-Malpensa, mette in risalto le potenzialità di Malpensa come centro per lo smistamento delle merci, opportunità però compensata dalla presenza massiccia di easyJet e, a breve, anche di Ryanair.
Nel complesso, quindi, ne consegue che il sistema milanese è paralizzato, può crescere solo marginalmente e non può generare un indotto e uno sviluppo che solo un hub carrier può garantire. Per alcuni “malpensanti”, la soluzione è chiudere Linate, spostare tutte le compagnie ivi operanti a Malpensa e indurre quantomeno l’Alitalia a ritornare ai tempi di Malpensa hub, progetto poi accantonato a causa delle troppe perdite finanziarie generate. Il problema è che con lo sbarco di Ryanair a Malpensa, e la già massiccia presenza di easyJet, Alitalia farà pressioni per lasciare Linate aperto ed evitare lo scontro diretto con le due low cost. Ma la “colpa”, se si può parlare di “colpa”, di chi è? Uno dei mali del trasporto aereo italiano è l’eccessiva autonomia data alle società di gestione aeroportuali, che fanno regolarmente accordi con le compagnie aeree puntando al guadagno a discapito degli interessi della collettività (una nuova compagnia che porta tanti passeggeri genera introiti, il fatto che possa affossare lo sviluppo di un hub passa in secondo piano). Manca quindi un’autorità che, a monte, supervisioni questi enti a partecipazione pubblica per bloccare sul nascere tutti gli accordi non in linea con i piani di sviluppo.

Rielaborazione dei dati di Assaeroporti relativamente alle merci mobilitate a Fiumicino e Malpensa. Il picco raggiunto da Malpensa nel 2007, ai tempi dell’hub Alitalia, sembra un caso destinato a rimanere isolato. Immagine di http://www.slideshare.net.
A rendere il quadro ancora più chiaro e allarmante sono state le dichiarazioni di Michael O’Leary, patron di Ryanair. Oltre ad ammettere di essere stato “corteggiato” da SEA (leggete: SEA ha promesso forti sconti in cambio della presenza di Ryanair a Malpensa), esprimendosi sulla possibile fusione tra SEA e SACBO (gestore di Orio), ha dichiarato che una fusione del genere potrebbe avere conseguenze negative nei confronti della concorrenza, e ha addirittura minacciato di ridurre le operazioni a Bergamo qualora le tasse aeroportuali dovessero aumentare (leggete: qualora non ci fossero più sconti). Questo come a testimoniare che, mentre nel mondo civile la concorrenza è tra le compagnie aeree, che sono società private, e premia chi garantisce il servizio migliore ai passeggeri, in Italia è tra i gestori aeroportuali, che sono enti a partecipazione pubblica, e “premia” chi garantisce gli sconti più bassi alle compagnie. Con la fusione tra SEA e SACBO, infatti, Ryanair non potrà “ricattare” l’una o l’altra società minacciando di trasferire i propri voli tra Malpensa e Orio in base agli sconti garantiti, ma, “purtroppo”, dovrà adattarsi alle tariffe prestabilite. Eh sì, “purtroppo”.
Francesco D’Amico
Foto di Giorgio Varisco, GolfVictorSpotting.it