La pittura come mezzo di riscatto dalle discriminazioni sociali
Nell’ambito delle manifestazioni fortemente volute dall’Accademia dei Bronzi e dalle Edizioni Ursini, grande emozione e successo ha riscosso – nei giorni scorsi – la mostra personale di Giuseppe Galati, ospitata nei prestigiosi locali del Circolo Unione di Catanzaro.
“Una mostra – ha detto il presidente dell’associazione culturale catanzarese – che rientra nel nostro programma culturale per il 2015, iniziato con la presentazione di un libro su Hannah Arendt di Caterina Tagliani e proseguito con una mostra di pittura di Antonella Oriolo. Tale programma si arricchisce con la mostra di Giuseppe Galati, per il quale abbiamo ritenuto necessario organizzare questa iniziativa, avendolo conosciuto in occasione del nostro Calendario di Arte, che viene distribuito gratuitamente in tutte le scuole che ne fanno annualmente richiesta. Come molti sanno – ha aggiunto il medesimo presidente – l’Accademia dei Bronzi e le Ursini Edizioni sono presenti in Calabria da 35 anni con iniziative del tutto gratuite, che si portano avanti con modesti contributi di privati che ci sostengono quotidianamente nelle nostre attività culturali”.
“Una persona perbene, seria e puntuale”, così il Maestro Giuseppe Galati ha definito il presidente Ursini, ringraziandolo per l’offerta ricevuta di realizzare insieme questa mostra nel comprensorio catanzarese. “Una mostra – ha spiegato il maestro Galati – rappresentata da opere che abbracciano un decennio circa della mia attività, con delle tematiche diverse che tratto frequentemente e che seguono tre temi fondamentali. Il lavoro è uno di questi, messo in luce con gli uliveti e tutto ciò che comporta il lavoro per gli stessi. Abbiamo poi i temi che hanno un valore storico-memoriale come per esempio la donna che cuce o la donna che inserta – ovvero realizza una corona – dei classici peperoni. Infine troviamo i paesaggi con le nature morte che sovente mi ritrovo a celebrare con la pittura, spesso simbolo delle zone dove io vivo, nelle quali il paesaggio e queste manifestazioni di lavoro sono ancora vive”.
Nato ad Acquaro, paese delle preserre della provincia di Vibo Valentia, Giuseppe Galati è un pittore con una affermata e riconosciuta attività artistica alle spalle. Incuriosito dalla sua passione per il disegno e per i colori, frequenta il Liceo Artistico di Reggio Calabria diventando, fin da subito, uno degli allievi migliori. Dedito all’insegnamento, non trascura la partecipazione a diversi concorsi e mostre, ottenendo numerosi riconoscimenti. In questa cornice di successi riceve il premio “Arte oggi”, consegnato direttamente dal dottor Rechichi. Gli anni settanta segnano la comunanza tra la sua passione per la pittura e quella per la politica. Giuseppe Galati, infatti, diventa ben presto il sindaco del suo paese e il presidente della Comunità Montana “Alto Mesima”.
La sua pittura nasce dai contenuti della realtà, dal mondo degli uomini e delle cose, dalle sensazioni che ne scaturiscono e che egli ricrea con un processo di trasfigurazione lirico-espressivo in cui segno e colore s’impongono su un tessuto compositivo dal quale le forme emergono in tutta la loro consistenza per trasmettere, ora il tormento e l’inquietudine che attraversano la nostra vita nevrotica, ora la nostalgia e la mestizia struggente della memoria. L’artista è attratto dai temi sociali e dalla natura aspra e selvaggia che lo circonda e con la quale dialoga in solitudine alla ricerca di emozioni e sensazioni che poi traduce in una pittura a volte tormentata e a volte venata da una sorta di contemplazione poetica. Le sue opere emanano un fascino attrattivo spesso permeato da una sottile inquietudine che rimanda a una realtà percepita con forte passione ed espressa con il pulsare di un sottile pathos.
Particolarmente apprezzata è stata l’opera “Madre in fuga”, più volte ammirata e fotografata dai numerosi visitatori presenti alla mostra. “Un’opera dai tratti caldi e forti – così ha definito il presidente Ursini questa creazione – che accompagnano i passi di una madre mentre fugge dalla guerra portando con sé i suoi figli nella speranza di trovare altrove un futuro migliore. È una madre zingara che esce dal ghetto, dal mondo degli ultimi e che si avvia verso la cosiddetta società evoluta. Un lembo di azzurro alle sue spalle suggerisce che non tutto ancora è perduto e che al buio della disperazione può seguire un’atmosfera più accettabile, più dialogante o, meglio, un barlume di speranza per approdare in un modo diverso e migliore”.
Antonio Dimartino
Cm sempree chiaro e preciso..a far capire l idea di cosa si sta leggendoo e’riusciure a travolgere il lettore…