Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 247) il 13 aprile 2019.
Quando i media pongono troppa enfasi sul fenomeno della globalizzazione
Il libro “Globalizzazione e disuguaglianze”, pubblicato da Laterza editori, descrive come il mercato sia un’istituzione sociale in un discorso ampio che ci porta a riflettere su come la globalizzazione e la localizzazione siano due facce opposte e complementari dello stesso fenomeno. L’autore di questo provocatorio libro è Luciano Gallino, professore emerito di Sociologia all’Università di Torino, scomparso purtroppo da qualche anno. É un testo con qualche lustro sulle spalle, che si presenta particolarmente utile per sviluppare delle riflessioni sui diversi “luoghi comuni” che nei primi anni 2000 avevamo sulla globalizzazione e che, forse, qualcuno di noi si porta ancora dietro. Dobbiamo riconoscere sin da subito che l’impostazione di Luciano Gallino su questo elaborato è prettamente orientata al mercato, forse anche troppo. Per il noto professore non può venir meno in alcun modo l’importanza della costruzione sociale del mercato, tanto da fare un’allusione ai diversi contrattualisti come Hobbes, Locke e Rousseau nello spiegare che il mercato “non è lo stato di natura dell’economia”. Il mercato è socialmente costruito e per fare questo è necessario un lungo processo di istituzionalizzazione con il quale determinati valori e orientamenti si devono strutturare come costruzioni solide ma, soprattutto, generalmente accettate.
Su questa base, sempre il professore Gallino, ci spiega come sia la tecnologia a tracciare un passaggio dal mercato come luogo fisico e concreto al cyber-mercato. Le NICT, infatti, intese come new information and communication technologies, hanno strasvolto il mercato stesso annullando il concetto di “spazio”. Si parla di un mercato del mondo, grazie ad internet quale acronimo di interconnected network, nel quale file, immagini, suoni e grafici arrivano dall’altra parte del pianeta in un decimo di secondo. Tralasciando aspetti importanti che qui citeremo solamente, come il fatto che ormai committenti e produttori non si incontrano di persona e non vogliono neanche farlo, Gallino si orienta a spiegare come i mass media abbiano enfatizzato troppo il concetto di “globalizzazione”, mettendo erroneamente in secondo piano quello di “localizzazione”. Provando ad essere schematici, visto che il testo contiene molte riflessioni difficili da riassumere in poche righe, la globalizzazione deve essere intesa come l’idea di imprese e lavoratori che ormai sono in competizione con altre imprese e lavoratori in tutto il mondo. Da qui si crea quella fase di “universalismo del mercato” che si scontra con una “localizzazione” intesa come recupero e difesa delle tradizioni locali. Si creano così, soprattutto nei primi anni del 2000, movimenti sociali, culturali, politici di opposizione alla mondializzazione del mercato. Il professore Gallino parla – senza mezzi termini – di un concetto superficiale di competitività, legato ad un mercato senza regole che porta imprese ed individui a competere duramente gli uni con gli altri. La durezza, infatti, deve essere trovata nella consapevolezza che i diversi paesi del mondo hanno un diverso sistema di protezione sociale, un diverso sistema di tutela dell’ambiente, un diverso sfruttamento del lavoro minorile. E allora i paesi del nord del mondo delocalizzano nel sud del mondo stesso, per approfittare di queste differenze.
In altri aspetti, poi, l’autore di questo complesso libro riprende considerazioni abbastanza note, come il fatto che con la Rivoluzione industriale la “forza lavoro” si afferma come merce uguale alle altre, puntando a far comprendere come il mercato del lavoro porti a una stratificazione sociale dalla quale hanno origine le disuguaglianze. Tutto questo, precisa Gallino, è stato reso ancor più turbolento dalla globalizzazione stessa. E le riflessioni che potremmo fare son tante e vanno dal declino di settori professionali nei quali le persone perdono il posto di lavoro per “obsolescenza” delle mansioni, per arrivare alla disoccupazione di giovani che hanno l’unica colpa di essere “troppo qualificati” in quanto super laureati, con master e quant’altro. Dunque il mercato del lavoro cambia e si dirige verso imprese che si avvalgono sempre più di lavoratori autonomi, come per esempio consulenti, oppure che decidono di esternalizzare interi segmenti di produzione, il famoso outsourcing. Dulcis in fundo, gli stati sviluppano interventi legislativi per flessibilizzare il mercato del lavoro. Finiscono i contratti a tempo pieno e indeterminato, o quasi, e ci ritroviamo con contratti a tempo determinato, contratti di apprendistato e tante altre cose belle che, però, stravolgono le sicurezze lavorative portando precarietà e insicurezza per il proprio futuro.
Mettendo da parte l’eccessiva concentrazione del professore Luciano Gallino sul mercato e sulla tecnologia nel leggere questo fenomeno della globalizzazione, per tutto il resto, vi sembra davvero un libro scritto da più di quindici anni? Riflettiamo. E non solo giornalisticamente.
Antonio Mirko Dimartino