Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 243) il 22 settembre 2018.
Un romanzo che coinvolge tra giustizia reale e giustizia giuridica
Il libro “La panne. Una storia ancora possibile”, pubblicato da Adelphi Editore, descrive la scomoda verità sul mondo della giustizia. L’autore di questo illuminante romanzo del 1956 è lo scrittore svizzero tedesco Friedrich Dürrenmatt, un uomo dotato di grande ingegno, un pensatore anticonformista che realizza racconti brevi e pezzi teatrali con grande maestria. Un romanzo breve, sulle ottanta pagine circa, ma con un forte impianto narrativo nel quale emerge come la giustizia, con i suoi meccanismi di indagine, non sia sostanzialmente in grado di dimostrare la “verità dei fatti”.
Dürenmatt narra di un lieve incidente automobilistico che costringe Alfredo Traps, rappresentante di articoli tessili, a fermarsi per la notte nelle campagne svizzere. Intravede una villa luminosa e si ferma chiedendo ospitalità al proprietario, un giudice in pensione, che gliela offre volentieri e lo avverte che a breve arriveranno anche degli ex colleghi per una serata in allegria. Così, subito dopo cena, inizia un gioco che questo gruppo era solito fare: riprodurre i processi storici come quello a Gesù o il processo di Socrate o ancora quello di Giovanna D’Arco. Naturalmente, il gioco diventa più bello se si gioca con del materiale vivente e si decide di accusare Traps di aver ucciso il suo capo per succedergli nell’incarico di rappresentante, visto che durante la cena proprio Traps aveva raccontato di vecchie ostilità con il suo ex titolare. Traps ha davanti quattro vecchietti che impersonano un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e un boia. Accetta con entusiasmo il gioco ma il suo stesso avvocato difensore, uno dei commensali, lo avverte sul fatto che è da pazzi professarsi “innocente” davanti al nostro tribunale, mentre è molto più intelligente incolparsi subito di un reato minore. La via dalla colpa all’innocenza, infatti, è sicuramente difficile ma non impossibile. Dall’altro lato, invece, è un’impresa disperata voler conservare la propria innocenza fino in fondo.
Questo romanzo – del quale altro non sarà raccontato per indurvi a leggerlo e quindi vivere l’umorismo profondo di Dürrenmatt – si sviluppa su una visione negativa della società, soprattutto della giustizia. Con i suoi meccanismi di indagine, infatti, la giustizia non è spesso in grado di arrivare a dimostrare la verità dei fatti. Emerge allora una specie di incertezza circa l’esistenza del diritto, qualcosa che fa riflettere e porta a rileggere più volte alcune pagine. Come spesso accade nel pensiero umano, le nostre valutazioni finiscono col fondersi e coordinarsi a vicenda, così tutto quello che Dürrenmatt evidenzia a metà novecento, con un semplice racconto, vive ancora oggi in tutti quei “cavilli giuridici” che finiscono per condannare innocenti o scagionare colpevoli. Il tutto ha un’attrattiva tale da divenire ispirazione di un film interpretato da Alberto Sordi sotto la regia del grande Ettore Scola, dal titolo “La più bella serata della mia vita”, nel quale l’Albertone nazionale si cala proprio nelle parti del povero Traps. E anche se la riduzione cinematografica di Scola prevede un finale alternativo a quello di Dürrenmatt – avendo il regista tratto liberamente sia dal romanzo che dall’adattamento teatrale dello stesso drammaturgo svizzero – resta comunque chiaro il concetto di rappresentare un diverso mondo della giustizia.
É la triste realtà di una verità che non sempre si raggiunge e che non corrisponde alla verità processuale, ferma restando la fallibilità di ogni giudizio umano e la magia letteraria di questo gioco-processo. Insomma un libro che non cerca l’approvazione sincera dei buoni e che con irriverenza descrive anche la critica condizione umana. Qualcosa di semplice, se vogliamo con pochi elementi come un rappresentate tessile, un’auto in panne, un gruppo di amici ormai in pensione, una tavolata, fino ad arrivare al processo simulato che tante riflessioni potrà darci. Dürrenmatt ci spiega in poche pagine, infatti, come gli ordinamenti sociali siano ingiusti e non liberi, delle strutture fallite che si basano su emozioni. Insomma un libro da leggere che rapisce subito il lettore, nel quale emerge un ricordo integrale della grande destrezza letteraria di Friedrich Dürrenmatt, nonché della sua complessa personalità.
Antonio Mirko Dimartino