Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 242) il 16 giugno 2018.
Le differenze Nord-Sud crescono e le azioni di convergenza sono poche
Si parla dell’Italia come del Bel Paese, all’estero si apprezzano le sue potenzialità turistiche e la sua capacità di imporsi nello scenario internazionale non solo come un posto bello da visitare ma anche come una potenza economica, di fatto una delle principali potenze mondiali. Eppure, quest’Italia da sogno, lo Stivale dal quale si scappa solo se si è messi alle strette dalla mancanza di lavoro, persiste un problema atavico e lungi dall’essere risolto. Nel periodo di ripresa dalla crisi economica degli ultimi anni, nonché nel periodo che l’ha preceduta, il divario Nord-Sud, un perenne argomento del giorno per noi tutti, è andato semplicemente a intensificarsi, con un netto incremento del gap sociale ed economico tra le due parti del Paese a favore del Settentrione. Per qualcuno è la normalità, mentre per altri c’è molto da dire su una mancata occasione di convergenza tra due parti di uno Stato che potrebbe beneficiare della presenza di un benessere e di una crescita economica estesi e generalizzati, non concentrati in pochissime e definite aree.
Quello che si fa, e che ci si limita a fare, è constatare l’incremento delle differenze come se fossero notizie al pari del bollettino meteo o del risultato di un incontro sportivo: il Sud peggiora così come le temperature invernali solitamente si abbassano, quelle estive aumentano, e la squadra X batte la squadra Y dopo un’accesa partita, tra fischi e contestazioni agli arbitri. Bravi gli economisti a prendere i dati per evidenziare le lacune e le differenze, a loro riesce molto ma molto bene: è la normalità alla quale siamo stati abituati, un processo che, se non fosse in atto, ci farebbe addirittura preoccupare. “Ma come, tutto a posto? Il Sud sta riducendo le barriere sociali ed economiche col Nord? Ma no, dai, non è possibile”, potrebbe azzardare qualcuno se queste notizie sul continuo peggiorare delle condizioni del Meridione rispetto al Settentrione non uscissero sui vari media con le frequenze alle quali siamo ormai abituati.
Il problema passa necessariamente dalla politica, ma lungi dalla natura di questo inserto culturale voler entrare nel merito politico sensu stricto di queste meccaniche. Se si parla di politica latu sensu, quella che tutti devono vivere e sperimentare per l’interesse personale e collettivo, il fatto che in Italia siano state portate avanti scelte molto discutibili in termini di convergenza economica dovrebbe far riflettere e renderci più reattivi, non passivi, di fronte all’incremento del gap. Non è un segreto, infatti, che da noi si parli spesso in pomposi convegni di “volano di sviluppo” per il Sud, una definizione il cui semplice uso nel 2018 è indicativo del fatto che qualcosa non è andata e non va nel senso giusto. Gli investimenti sulle infrastrutture, anche quelli essenziali, arrivano a singhiozzo e come se fossero fatti eccezionali, quando il problema reale è: perché non sono arrivati oltre cinque decenni fa? Insomma, non ci resta che accontentarci di quel poco che ci viene concesso, facendolo passare non come scontato ma come un favore per il quale bisognerà sdebitarsi (?), un motivo in più per riconoscere il divario col Nord come qualcosa che deve esistere, un trend che non si può invertire in alcun modo. Impiegare ore e ore per spostarsi via terra da un capo all’altro di una delle nostre regioni a causa delle infrastrutture stradali mediocri rientra nell’ordine generale delle cose, una legge naturale che qualcuno ha deciso di rendere antropica e a nostro diretto discapito.
Francesco D’Amico