La sicurezza nazionale passa attraverso l’intelligence economica

Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 242) il 16 giugno 2018.

Quando il potere dell’informazione diventa il nostro futuro

Il concetto di intelligence economica è in piena evoluzione, richiamando tutte quelle attività al servizio delle decisioni strategiche per la sicurezza nazionale di un paese. Con il processo di globalizzazione, infatti, gli antagonismi commerciali degli Stati hanno raggiunto livelli esasperati, portando all’incessante necessità di sviluppare un apparato di intelligence economica. Per fare questo serve una politica molto forte che sia capace di guidare gli interessi pubblici, ma che notoriamente non è presente in tutti i paesi.

L’intelligence economica è rappresentata dall’insieme delle azioni coordinate di ricerca, analisi e distribuzione delle informazioni. Un sistema economicamente competitivo, infatti, sviluppa un’economia basata sulle informazioni, visto che la supremazia di una nazione non si esercita più con la sola forza militare. Paesi come la Germania o il Giappone, per non parlare dei lungimiranti Stati Uniti d’America, hanno da subito compreso tale importanza, moltiplicando in periodi brevissimi il loro “capitale informativo” e risparmiando allo stesso tempo in ricerca e sviluppo.

In Italia, come in altri paesi, manca un approccio sistemico allo sviluppo di un adeguato apparato di intelligence economica. É necessario, infatti, un ulteriore cambio di mentalità verso gli elementi che caratterizzano questo processo: la presa di coscienza di una diversa visione dello “spionaggio industriale” nonché dello scambio di informazioni in generale. Sia ben chiaro, il nostro paese ha fatto diversi passi avanti per lo sviluppo di un apparato di intelligence economica, ma forse manca ancora quell’idea che lo consideri una vera necessità – più che un opzione – per divenire più competitivi economicamente sui mercati.

La nota legge 127/2007 ha rappresentato un primo passo verso la giusta direzione, perfezionato con la successiva legge 133/2012 che ha sviluppato un’adeguata protezione cibernetica puntando sulla sicurezza informatica nazionale. Il tutto si è concluso, però, solo con un ulteriore passaggio nel 2013 quando si è creato un fondo di investimento nazionale cercando, come molto spesso abbiamo fatto in passato, di seguire il modello francese. Ma tutto questo sembra non bastare. Dobbiamo allora dimenticare tutte quelle logiche, ormai obsolete, legate alle alleanze politiche della guerra fredda, spostando la nostra attenzione dal campo militare a quello economico. Nella competizione globale, infatti, risulta determinante il controllo dell’informazione, in una giusta correlazione tra economia e sicurezza. É necessario altresì abbandonare anche quelle logiche al servizio di una distinzione tra paesi amici o nemici, visto che ormai tutti i paesi risultano essere concorrenti e competitori nella ricerca di nuovi mercati per il controllo di quelle risorse, davvero vitali per i prossimi anni, come per esempio l’acqua o l’energia.

Il processo di globalizzazione unito alla recente crisi economica mondiale, che ci portiamo dietro ormai dal 2008, hanno sicuramente accelerato tutte quelle dinamiche che evidenziano una mancanza – in alcuni paesi – di un apparato di intelligence economica. Il terrorismo e la criminalità organizzata hanno un carattere sempre più globale, al quale spesso si risponde con logiche nazionali, mettendo da parte strumenti come appunto l’intelligence economica solo per paura di un cambio di mentalità. É necessaria una difesa, a livello nazionale per ogni singolo Stato, del capitale scientifico e intellettuale delle proprie imprese. Tutto questo passa attraverso l’intelligence economica quale vettore verso una riuscita globalizzazione, considerato il suo ruolo chiave nei processi di carattere economico, politico e industriale. L’idea è quella di prevenire le diverse minacce alla sicurezza economica nazionale, provando a sfruttare nuove opportunità per la competitività delle imprese. Proviamo a comprendere la realtà per come si presenta e non per come “dovrebbe essere”, possibilmente senza averne paura.

Antonio Mirko Dimartino

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