Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 235) il 22 luglio 2017.
Biografia di un grande poeta meridionale
Marco Amendolara ha vissuto una vita intensa, ma fulminea. Nato a Salerno nel 1968, già sotto la stella letteraria e poetica, divenendo ben presto critico d’arte e letteratura, traduttore di poesia latina e collaboratore di alcuni periodici di spessore, tra i quali Il Mattino, muore di sua spontanea volontà, a Salerno, nel luglio del 2008. Un laureato in Filosofia e Lettere moderne che idolatrava la poesia; in vita lesse moltissimi libri di poesia, soprattutto quella novecentesca, scandagliandola, studiandola da ogni lato, in ogni parola. Egli era un autentico adone e viandante della parola, in una visione tragica e allo stesso tempo luminosa di una scrittura incombente, frenetica, mai sazia, selvaggiamente anarchica. Una protesta lineare sulla mondanità, sugli accademismi faciloni di cattedra che più volte gli negarono l’accesso alla docenza per favoritismi sottobanco di gente incolta, gretta, e di un cretinismo inenarrabile. Il buon Marco era un brillante precursore del silenzio, lontano dai reading o da festival, si donava agli altri con un altruismo unico, con una tenerezza senza pari. Disarmato di fronte alla pesantezza della vita comune, egli si rifugiava nella scrittura, “narrando” parole poetiche con fantasie dolci in un mondo estraneo e sordo in cui dava vita ad un altro se stesso, riflesso di una creatura quasi magica e incompresa. Persisteva in lui un’amarezza profonda tutte le volte in cui si soffermava sulla disattenzione meschina che la sua città gli dimostrava. L’Amendolara, dopo il suo esordio poetico precoce, pubblicò pochi versi. Il poeta scrisse alcuni libri di poesie tra cui: Altri Termini, Napoli 1989; Fogli selvatici, con Ugo Marano, La Fabbrica Felice 1993; Stelle e devianze, La Fabbrica Felice 1993; Epigrammi, Nuova Frontiera, Salerno 2006; La passione prima del gelo (auto-antologia di poesie e traduzioni, Ripostes e Marocchino blu 2007); ma è in L’amore alle porte, Plectica & Bishop, Salerno-Giffoni Sei Casali 2007, che si spande il suo risentimento evidenziando annullamento e rifioritura, esaltando un amore inteso come coraggio di continuare, di chiudere, di aprire andando oltre se stessi. Nelle pagine egli cambia le cose reali, le quali vengono trasfigurate e diventano mezzi attraverso il quale il poeta penetra il reale stesso e, in esso, la sua passione amorosa, per scivolare così in una relazione profonda con il soggetto del proprio amore: “Invidio quel bicchiere / … / perché incontrerà le tue / labbra, e vorrei essere anche / il vino che tu diventi, / ti beve ed è bevuto”.
Nei suoi versi, Amendolara fa leggere un mondo che trascorre e lascia dietro di sé tutto ciò che è stato, la paura di perderlo per sempre, la memoria che se ne va definitivamente risucchiata nella morte: “E’ la paura della morte / che mi rende pazzo, / la paura di essere luogo buio e putrefatto, / non provare più affetto, / non poter pronunziare il tuo nome, / non avere neanche un ricordo, / non sognarti / e fare di me, da sogno, realtà”. Dal punto di vista dell’arte del versificare, il testo è snello e musicale senza ricorso a rime o ad altri astrusi meccanismi poetici. I suoi versi sono asciutti, brevi, mai sovrabbondanti, chiari. Le parole evocano ciò che è situato oltre il loro significato formale, agganciano qualcosa dal profondo e lo elevano alla luce della mente.
Nelle ultime pagine del libro si legge una breve intervista di Olga Chieffi all’Autore, il quale, alla domanda “Quali sono gli obiettivi dello scrivere, per te?”, risponde: “Per me la scrittura dovrebbe cambiare le cose e ricordare, ricordare sempre. La rapidità della vita non consente a nessuno di scherzare con la memoria. Quando si scrive, si cerca molte volte di interrogare il passato e il futuro”. Amendolara ha sempre avuto davanti alla sua quotidianità, una mossa soffiata dal dolore, un faro della memoria, non solo come ricordo del passato ma anche come una speciale lente attraverso la quale vedere nuove, e più profondamente, le “cose”, tra le quali troviamo gli affetti, l’amicizia, l’amore; tre poli, questi, in relazione profonda e osmotica. Si percepisce, nello scorrere i testi, il tempo che è andato, non come una sequenza di fatti, ma una totalità di eventi avvenuti che pare ancora adesso avvengano; il poeta scrive facendo trasudare dalle righe dei suoi versi la sua “serietà”. La poesia è cosa seria, è memoria e, come già detto, la rapidità della vita non consente di scherzare con la memoria. Amendolara era ed è tutt’ora il poeta del vero, dell’amore sempre pronto, alle porte, un bene cosciente e serio oltre se stesso.
Matilde Marcuzzo
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