Tra i meandri delle discussioni online selvagge e inutili

Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 232) il 25 marzo 2017.

I social hanno sostituito i forum, ma sono una vera alternativa per chi vuole informarsi?

Non è necessario essere nella fascia di età degli –enta o degli –anta per ricordare i rigogliosi forum sparsi per il web, siti internet in cui era possibile avere discussioni complesse e articolate con una miriade di persone, e su una miriade di argomenti. C’erano forum generici, dedicati a tutto e in modo approssimativo, e c’erano forum specifici, dedicati per esempio a una saga di libri, a un determinato campo scientifico o sociale, eccetera, dove si richiedevano conoscenze minime paragonabili a quelle di un esperto, e dove gli esperti stessi decidevano di devolvere volontariamente parte del loro tempo all’arricchimento culturale di perfetti sconosciuti.

Con l’avvento dei social network e la loro conseguente diffusione a macchia d’olio per il globo, i forum hanno iniziato a perdere fette di mercato consistenti, e molti sono stati costretti a chiudere. Esistono ancora, ma la loro attività è ridimensionata e pare che a sopravvivere siano stati principalmente i forum dedicati a chi ha conoscenze e competenze specifiche, non generiche. A prendere il posto dei forum, grandi gruppi Facebook ed eterne discussioni in risposta ai commenti con più “mi piace” di VIP, grosse testate giornalistiche, politici e grandi multinazionali. Per molti è una specie di involuzione rispetto ai ricchi e articolati post dei vecchi forum, ma andiamo ad analizzare la questione nello specifico e nel suo merito, mettendo da parte il fattore nostalgia. E’ innegabile, tanto per fare un esempio, che i post da social network sono ormai indirizzati a un pubblico molto più ampio e non “selezionato”, caratteristica questa che a giudicare dalla qualità media delle discussioni, comporta più contro che pro. Sui forum c’era moderazione, intesa sia come atteggiamento intrinseco degli utenti (ben coscienti di scrivere a un determinato pubblico e molto attenti al linguaggio utilizzato), che come insieme di processi di azione e reazione dei team di amministratori (individui con il potere di rimuovere intere discussioni e addirittura utenti qualora risultassero eccessivamente offensivi): un modus operandi lontano anni luce dalle minacce di morte da social che spesso diventano l’oggetto stesso di alcuni articoli e suscitano sentimenti di sdegno e disgusto. D’altronde è ovvio che, visto il sistema molto primitivo e approssimativo che regola commenti e discussioni, sui social gli atteggiamenti selvaggi possano risultare dominanti.

Un altro fattore chiave riguarda l’effettiva competenza di chi si esprime: sono ben pochi i commenti da social che meritano attenzione per i loro contenuti, mentre gli altri – la massima parte, in realtà – celano una macedonia di scarse conoscenze, pregiudizi, stereotipi e, peggio ancora, interessi di parte. Leggere questi commenti, andare a spulciare e distinguere quelli genuini da quelli non genuini, richiede tempo e non è detto che alla fine del processo il lettore abbia effettivamente appreso informazioni consistenti con la realtà dei fatti: si tratta di un processo con conseguenze potenzialmente pericolose per un individuo che basa il proprio apprendimento sulla lettura di questi commenti piuttosto che sulla lettura degli articoli di giornale. Un giornalista può anche non essere oggettivo nel suo lavoro, è una cosa che può capitare per innumerevoli motivi (difficoltà nel reperire informazioni specifiche, interessi personali, limiti di spazio, fallacie logiche e di ragionamento, etc.) ma è sicuramente più qualificato del “Mario Rossi” qualsiasi che sui social pensa di fare informazione e va contro il giornalista, commentando e attirando l’attenzione di altri utenti con like e risposte polemiche, di fatto contribuendo alla creazione di un sistema di informazione ibrido in cui la notizia fornita professionalmente dai giornalisti diventa un mero contorno alle chiacchiere da bar che, grazie ai social, hanno allargato il loro pubblico di basso livello.

Francesco D’Amico

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