Libertà e rivoluzione nella filosofia del Novecento di Hannah Arendt

Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 225) il 16 aprile 2016.

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Presentato il libro di Caterina Tagliani, pubblicato dalle Edizioni Ursini

Presentato a Trebisacce (CS), nei giorni scorsi, il libro/tesi di Caterina Tagliani, poetessa e scrittrice catanzarese di adozione, dal titolo “Hannah Arendt: libertà e rivoluzione”, Edizioni Ursini. La presentazione si è tenuta nella sala consiliare del comune di Trebisacce alla presenza del sindaco Franco Mundo e con l’organizzazione dell’associazione “Davide Aino”, con la presidente Loredana F. Aino, figlia del noto pittore cui è dedicata l’associazione culturale. A curare il testo, il professore di filosofia Bruno Mandalari con i suoi studenti, presenti in sala. E’ stato affrontato anche il tema didattico.

È emerso che la figura di Hannah Arendt come filosofa, ma anche come giornalista, per molto tempo rimase incompresa per i suoi scritti avvenuti durante i processi a nazisti di spicco. Lì, ella, inviata come giornalista, si rende conto di come importante sia l’azione politica per creare un mondo migliore e impedire che si possano inserire frange deviate e creare massacri di Stato e di come obbedire agli ordini annulla la volontà del compiere il bene o il male. Questo ultimo pensiero, che trova respiro nella sua analisi della “Banalità del male”, creò alla filosofa non pochi problemi, fino all’oblio nel tempo. Ora è una delle filosofe, termine che lei rifiutava, più studiate nelle scuole superiori e nei licei. Emerge dalla relazione del professore Mandalari che era una filosofa incompresa perché amante del “Noi”, ossia del rapporto con l’alterità. “Io sono ciò che sono perché c’è l’altro, che mi permette di esserlo, la conoscenza non è un qualcosa di precostituito dentro di sé, ma si deve insegnare a pensare. La Arendt segue molto in tutta la sua produzione, questo assunto Kantiano. La Filosofia diventerebbe altrimenti di una grande noia, se s’insegnasse il pensiero”. E ancora Mandalari: “Filosofa atipica è la Arendt, non ama la filosofia speculativa, si interessa di lavoro inteso come produzione di cose artificiali che permettono di migliorare la nostra vita, ma ciò che cambia direttamente la vita dell’uomo è l’azione, cioè l’attività che l’uomo svolge con il proprio lavoro e che dona dignità all’individuo e la possibilità d’interazione nella società e con l’altro”. Tema molto attuale e che andrebbe ripreso da molti nostri politici italiani.

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La filosofia della Arendt è prettamente ispirata ad Aristotele per quanto concerne la concezione dell’uomo, che definisce “un animale politico” dotato di due grandi peculiarità, così riprende Mandalari: “La prassi (l’agire) e il discorso. L’uomo è politico perché possiede il pensiero, che è trasmesso dalla parola, che costituisce il mezzo per costruire il mondo. Le parole devono essere quindi continuamente soppesate, curate, non devono essere vuote o chiacchera, ma le parole devono essere aperte al mondo e che rendono possibile la nostra interazione con l’altro”. La difficile spiegazione della banalità del male constò all’Arendt anni di difficoltà per il suo pensiero: “Il gerarca nazista applicava a mo’ d’impiegato statale, la procedura della distribuzione del terrore. Era applicata in modo assolutamente burocratizzato. L’annullamento della persona ebrea avveniva per decreto ministeriale, l’individuo diventa un numero senza alcun valore e dignità”.

Il concetto di Totalitarismo per la Arendt è un assunto nuovo e del Novecento del secolo scorso: non esiste, per la filosofa, una forma di governo precedente a questa. Non c’è nessun governo nell’antichità, nessuna tirannide, che possa essere paragonato al totalitarismo, sosteneva lei.

Lucia De Cicco

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Una risposta a Libertà e rivoluzione nella filosofia del Novecento di Hannah Arendt

  1. Katia ha detto:

    Un sincero ringraziamento cara Lucia a te e a Francesco D’amico per questo articolo inrente la presentazione del mio Saggio a Trebisacce. Grazie di cuore

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