Il fenomeno dell’emigrazione dal Sud è un problema che ben conosciamo, ma quando gli emigrati tornano a casa per le feste è possibile assistere a scene raccapriccianti…
Chi nel Mezzogiorno non ha mai avuto a che fare con il fenomeno dell’emigrazione, più o meno direttamente? Tra emigrati e parenti o amici di emigrati, la diffusione capillare del fenomeno è indiscutibile.
Andare fuori, lontano dalla propria terra, comporta rischi e sacrifici: c’è chi, come gli sventurati delle miniere di carbone in Belgio, ha perso la vita per coronare il sogno, tra l’altro normalissimo, di garantire alla propria famiglia una vita normale. Non solo i poveri: a scappare sono anche gli omosessuali che vivono l’oppressione di una mentalità chiusa verso gli orientamenti sessuali “non in linea” con la “norma” perché, ricordiamolo, il Sud avrà pure cibo, temperature e paesaggi stupendi, ma ha anche tantissimi problemi.
Il fenomeno nel tempo si è evoluto e ora, con la crisi economica, i giovani meridionali stanno seguendo nuovamente le orme dei loro antenati, spopolando città e paesi del Sud per studiare o per lavorare altrove. Per fortuna le cose sono cambiate e gli “emigranti 2.0” possono considerarsi più fortunati di chi li ha preceduti in passato: i mezzi di trasporto sono diventati più efficienti e più abbordabili per viaggiare (aerei, treni moderni) e l’opportunità di parlare comodamente con amici e parenti da lontano (videochiamate, messaggistica istantanea) permette di mantenere i contatti e sentirsi vicini.
“Ma che l’hai scritto a fare questo articolo” – direbbe qualcuno – “questa è roba trita e ritrita che conosciamo già”. Tranquilli, questa è solo l’introduzione.
Questo, ossia il periodo a cavallo tra Natale e Capodanno, è il periodo in cui le due realtà – emigrati e le loro famiglie rimaste nel Mezzogiorno – si incontrano. Aerei, treni, navi e macchine si riempiono, migliaia e migliaia di persone tornano a casa per passare le vacanze con parenti e amici, e inizia il confronto social-ideologico tra le due parti. Chi va fuori cambia, cambia nel carattere, negli atteggiamenti, nella mentalità e cambia anche nell’accento: che lo faccia in meglio o peggio non importa in questa sede, quello che conta sono le parole che gli emigrati rivolgono a coloro che, per i motivi più disparati, non sono andati a vivere altrove.
E’ proprio nel periodo dei grandi ritorni e delle rimpatriate che emergono alcuni dei comportamenti più irrazionali e vergognosi dell’Italia dei nostri giorni. Queste sono esperienze personali, non credo siano indicative della situazione generale perché come qualcuno mi ha fatto notare è meglio non generalizzare – non interpretatele come uno sfogo ma come il volere di raccontarvi le differenze tra alcuni tipi di emigrati e altri. Ecco che inizia la carrellata di perle da emigrante:
– C’è chi studia all’Uninord e ritorna per criticare chi studia all’Unisud, ostentando fino alla nausea una superiorità che è tutta da verificare. Guarda che bravura e preparazione contano di più.
– C’è chi gode come un riccio [cit.] quando il proprio comune rischia di andare in dissesto ed essere commissariato. Già che ci sei, dato che odi così tanto la città che ti ha dato i natali, perché non crei una bomba atomica fai da te e concludi l’opera?
– C’è chi ritorna e dice “voi del Sud…” come se a parlare fosse uno straniero. Sveglia! Questa è la tua vera casa, ma credi di essere il risultato di un processo di metamorfosi? Da bruco meridionale a farfalla emigrata?
– C’è chi parla sforzandosi di avere un accento il più diverso possibile da quello dei membri della sua stessa famiglia, e critica ogni pronuncia che non rispecchia l’italiano a suo dire “corretto”. Lo sai che dove vivi c’è un accento caratteristico e che quindi neanche il tuo di italiano è da considerarsi “perfetto”?
– C’è chi definisce amici e parenti “terroni” e se ne va promettendo di non tornare mai più, perché la sua vera casa è altrove, perché ha trovato una ragazza facoltosa e non sente il bisogno di sporcarsi le scarpe ritornando nel posto dove è nato e cresciuto. Ciao compare, ti regalerò una bandana con disegnata una svastica.
– C’è chi critica la sua terra natia ma né quando è lontano né quando ritorna a “casa” (se così possiamo definirla…) si impegna per fare qualcosa. Ammettilo, non dei diverso/a dagli italioti che critichi.
– C’è chi si vergogna di avere scritto sul proprio documento di riconoscimento “nato/a a <inserire nome di una città o paese del Meridione>“. Ma non ti fai schifo?

Non sono solo i leghisti più estremisti a pensare ciò, ma anche molti meridionali emigrati.
Tutta questa falsità, tutta questa ipocrisia sembra concentrarsi in alcuni stranieri in patria, ossia gli emigrati che non hanno lasciato i confini nazionali e hanno deciso di andare a vivere a Milano, Torino, Venezia, etc. Alcuni di loro, non tutti per fortuna, hanno un serio complesso di inferiorità quando sono lontani e un complesso di superiorità quando sono a casa per le feste.
Ma gli emigrati si comportano tutti allo stesso modo quando ritornano qui? Per fortuna no, e andando negli Stati Uniti ho potuto conoscere meridionali che hanno creato veri e propri imperi finanziari senza dimenticare le proprie origini. E’ proprio da un italoamericano di origine calabrese che ho sentito parole che a mio avviso sarebbero da riscrivere e incorniciare. Alla faccia di chi si vergogna della propria terra, c’è gente che pur riconoscendo i difetti e i problemi del Sud, dopo aver trovato la fortuna dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, mai e poi mai si sognerebbe di comportarsi come molti “colleghi” emigranti che hanno scelto il Nord Italia, e non si limita a questo: ribadisce, infatti, che il legame con la propria terra è un elemento imprescindibile del suo modo di essere ed è destinato a portare quel sentimento sempre con sé fino alla fine dei suoi giorni. Il self made man in questione, per il semplice fatto di aver detto queste stesse cose ai suoi compaesani in Calabria, nel vibonese, è stato invitato a pranzo da uno sconosciuto, attirato dalle belle parole e contento di aver incontrato un emigrato che “quando torna qui non si comporta come quelli che sono andati a vivere a Milano”.
Sempre negli Stati Uniti ho potuto parlare con giovani italoamericani che hanno studiato a Yale (ottava tra le università migliori del mondo secondo topuniverisites.com) e alla Columbia University (quattordicesimo posto su scala mondiale) e parlano con noi “poveri mortali” che studiamo in Italia senza fare gli sboroni, mentre l’atteggiamento di una mia conoscente meridionale che studia al Politecnico di Milano (duecentotrentesimo posto nella stessa classifica) è paragonabile a quello di uno studente del quinto superiore che si ritrova catapultato in seconda media. E’ grazie a queste piccole cose che capisci che il problema non è il Sud ma la mentalità italiana nel suo complesso che ancora non è riuscita ad andare oltre i pregiudizi sui “terroni” e i “polentoni”, e te lo fa notare soprattutto quando interagisci con la categoria intermedia, quella dei “terroni polentonizzati”. Negli Stati Uniti, dove gli italoamericani di origine meridionale sono molto più ricchi e benestanti dei meridionali che vivono nel Nord Italia (vedere per credere), e che quindi avrebbero millemila motivi in più per criticare la loro terra e chi ci vive, l’atteggiamento è completamente diverso e la cosa ha dell’incredibile.
E’ strano, veramente molto strano fare un viaggio di 14.000 km per comprendere meglio il proprio paese, chi ci vive e allo stesso tempo imparare a rispondere di pari tono ai signori che sono nati Esposito e vogliono morire Brambilla. Vergognarsi della propria terra natia è stupido, ricordatelo.
Francesco D’Amico
Grande e piccolo.
Cos’è grande e cosa è piccolo? Un bambino è piccolo e il padre è grande. Il Colosseo è grande, ma il nostro mondo lo è molto di più. Più grande ancora è quello che chiamiamo universo. Ma a questo punto la cosa si complica.
Dove comincia e dove finisce l’universo? Stiamo parlando di spazio o di spazi che non trovano posto nella nostra fantasia. Provate a immaginarli! E poi gli spazi si misurano col metro, ma per le stelle e le galassie si usano “anni luce”.
Un anno luce è lo spazio percorso dalla luce in un anno. E la luce corre a trecentomila chilometri al secondo.
Fate il conto. Non c’è niente da fare. Meglio accontentarsi di parole e numeri.
Passiamo alla parola piccolo. Abbiamo detto che piccolo è un bambino. Ma una sola cellula è molto, molto più piccola. Tanto è vero che non la vediamo ad occhio nudo. Il bambino sì. E una molecola è più piccola ed ancora di più lo è un atomo. Ma anche l’”a-temno” dei greci è fatto di particelle che alla fine sembrano essere solo energia.
Sono dovuto arrivare molto in là con gli anni per capire quanto limitato è il nostro intendimento. Tutte le dimensioni… parole quotidiane… non sono altro che parole, per noi.
Abelardo insegnava filosofia e diceva:”Stat rosa pristina nomine. Nomina nuda tenemus.”
Tutto questo fantasticare vuol solo essere un ricordo dell’autore di: “Il nome della rosa” che, tanto tempo fa, ci fece ricordare quella frase in latino.
Marcello Fagioli
(ripreso da Nugae- Ricordi di un vecchio emigrato)
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Scusa Francesco, ma il tuo articolo mi innervosisce un poco. Io sono siciliano, emigrato, da bambino, in Piemonte e da grande in Francia, dunque, se permetti, il problema lo conosco per averlo vissuto sulla mia pelle. Dicevo che il tuo articolo mi innervosice perché fa parte di quell’insieme di “diagnostici” dove la colpa é sempre del meridionale. Tu stesso lo dici: quelli che sono negli “States” reagiscono diversamente da quelli che sono al “nord”. Ma, appunto, non ti pare strano questo? Non é che i primi siano diversi dai secondi, ma il fatto é che gli emigrati in “Italia” come tutti gli altri italiani sono stati condizionati fin da piccoli a considerare il Sud come inferiore al Nord e i Meridionali inferiori ai Settentrionali. Si comincia con la storia del cosidetto “risorgimento”. Il Nord é venuto a liberare il Sud. Il Sud che era sottosviluppato. E poi quando questi poveri esseri sono arrivati al nord, non dimenticare che erano quelli più poveri, quelli che altrimenti crepavano di fame, si son trovati davanti all’opulenza del Nord, con la gente ben vestita, parlando quello che loro credevano fosse il verfo italiano, é normale che un sentimento d’inferiorità si fosse sviluppato. Sentimento amplificato dal disprezzo, manifesto, dei settentrionali nei loro confronti. I meridionali che invece andavano all’estero trovavano si gente diversa da loro, ma pure altri italiani, del nord, che vivevano le loro stesse condizioni, ed erano trattati nello stesso modo che loro. In Francia tutti gli italiani erano dei “macarons” o “spaghetti”, tutti salvo i siciliani che erano considerati…siciliani! Da qui un certo orgoglio di essere siciliani. Io stesso ho visto dei friulani vergognarsi d’essere stranieri in Francia, non saper parlare bene ne italiano ne francese! In conclusione se i meridionali, o almeno certi meridionali, si vergognano d’esserlo, é perché l’Italia é stata fatta contro il meridione. Bisognava dunque giustificare questa annessione, questa conquista coloniale, nello stesso modo che le potenze europee giustificarono il colonialismo con l’apporto della “civilizzazione”. Dunque il meridionale era povero, ignorante, sudicio, parlando un dialetto incomprensibile, con un’accento riconoscibile da tutti. Come vuoi che i Meridionali si siano sentiti bene faccia a questa propaganda? Con affetto a tutti i meridionali nel mondo e nel meridione, tanti auguri per l’anno nuovo.
non ti dico quei Napolitani (intendendo tutti i meridionali dal Tronto a Reggio) che quando tornano nella madre patria continuano a parlare “nordico” come se fosse qualcosa di “rappresentativo” non te lo dico proprio…
Vivo in lombardia, ormai , da 14 anni, ma porto sempre nel cuore il mio amato paese natio, Vado fiera della mia origine e, con convinzione , trasmetto tradizioni, usi e costumi calabresi ovunque mi trovi. Mi lascia , invece perplessa la situazione che trovo, quando ad ogni mio rientro estivo,incontro compaesani freddi e distaccati, con la finzione di chi non ti conosce , nonostante la mia semplice e nota conterraneità . Ribalto , allora la provocazione
e ti chiedo ” sono gli emigranti , oppure i residenti ad essere cambiati????? A te la risposta .
Gentile Francesco D’Amico, mi permetto di fare qualche obiezione al tuo articolo di cui fai di tutta l’erba un fascio. Esisteranno anche delle povere anime che colmeranno la loro povertà di spirito con i comportamenti che tu riporti, che colpiscono e feriscono, ne ho conosciuti anche io, ma ti assicuro che sono una minoranza. Ho quasi 32 anni, vivo al nord da quando ne ho 6. Sono 26 anni che sono in esilio. Non ho perso il mio accento e so parlare il calabrese come tanti non emigrati non sanno più fare. Conservo e vado fiero delle mie radici, delle mie tradizioni. Quando racconto la mia storia, chi non mi conosce non ci crede che vivo qui da così tanto tempo. Amo la Calabria, la conosco e la studio, ho decine e decine di libri che parlano della storia del mio Sud, dal Colletta ad Aprile passando per Gramsci. Non sono di quelli che disprezza la terra in cui vive, apprezzo la città in cui vivo e le sono grato per avermi accolto, sono bene integrato e non ne disprezzo gli usi, ma semplicemente, con rispetto, non li sento miei perché io mi sento e sono Calabrese e lo dimostro ogni giorno. Lo dimostro impegnandomi a fare sempre del mio meglio, per senso di dovere, ma anche per poter, se mi è rivolto un elogio, trovare il modo di sottolineare che sono Calabrese. Perché vedi, ci sono emigrati che pur lontani non dimenticano un solo istante la loro terra, ne vanno fieri e fanno di tutto per portarne, anche se lontani, alto l’onore. Non passa giorno in cui non nomini la mia terra, in cui non la difenda, in cui non la giustifichi per quei difetti che tu stesso citi e che sappiamo esserci. Vedi è facile fare del vittimismo, ma anche da emigrati ci si può sentire Calabresi, anzi ancora più certi di esserlo. Perché è facile scrivere male di chi è lontano, ma bisognerebbe passare alla prova per vedere chi si comporta da vero Calabrese. Come quando si era ragazzini, vedere chi è disposto a prenderle quando davanti sono dieci e tu uno e non stai zitto se ti chiamano terrone o quando ora si è soli a fronteggiare le tesi di qualche leghistello, a dirgli in faccia che il Sud è stato tradito e che sul suo sangue ci hanno mangiato e ci mangiano tutti, per primo il nord. Li ho visti anche io quelli che arrivano e cambiano accento dopo un mese, perché, dicono, l’accento si perde. Si può perdere negli anni non in un mese! Ma questa è una minoranza. Di amici Calabresi e meridionali in generale ne ho un’infinità e tutti ne andiamo fieri. Leggo con amarezza il tuo articolo, perché per noi che siamo lontani non c’è giorno che il ricordo della nostra terra non ci fornisca la forza per dare il meglio, per portarne alto il nome, e il tuo articolo è di quelli che vorrebbe escluderci dall’essere Calabrese, come i “stai ccittu tu ca s’i fora” che qualche volta ti rifilava qualche coetaneo al paese. Ma non preoccuparti, queste sono leggerezze che non intaccheranno l’animo di quella parte vera della Calabria che in Calabria non ha trovato un posto, ma che in fondo al cuore porta sempre il sogno di ritornare. Perché non importa dove si vive, essere Calabrese vuol dire anche mettere in conto che forse bisognerà emigrare, non è un fatto di residenza, che leggi sui documenti come riporti nel tuo articolo. L’essere Calabresi è qualcosa che si ha nel sangue. Calabrese si nasce e, peccherò di presunzione, ma ti posso assicurare che io ci sono nato!
Andare a vivere lontano dalla propria terra di origine non è facile. Ti trovi in un mondo nuovo e diverso, che sia l’estero o il nord Italia . Io , che sono partita dalla calabria per andare in lombardia, ricordo il disagio anche solo per comprare la carne dal macellaio, sembrava un’altra lingua! In questa “terra nuova” hai un solo desiderio, integrarti. Ti manca tanto la rassicurante conoscenza di abitudini secolari, di usi e costumi , ti manca il calore della gente, i visi conosciuti, i saluti per strada. Ti sforzi, quindi ,di capire il luogo dove sei andato a vivere, fai dei confronti. Poter andare in comune a chiedere un certificato senza dover fare una fila di ore è bello, non poter contare sull’appoggio dei vicini di casa, sulla straordinaria spontanea solidarietà della gente del sud, è brutto. Dopo 40 anni, anche l’accento cambia… L’emigrante che torna, vive in una terra di mezzo. Io non mi sento del nord anche dopo 40 anni e dopo aver sposato un lombardo. Quando parlo al nord mi si dice che il mio accento si sente ancora . Quando parlo al sud mi si dice che ho perso l’accento. Mah! Caro Francesco , non giudicare male chi torna e ha bisogno di dimostrare di non aver fatto male ad andare via. A volte la nostalgia del nostro sud, con tutti i suoi difetti e problemi, ci stringe in una morsa , tornare e rivedere i luoghi delle nostre radici e non sentirsene più parte, fa male. Allora, facciamo gli “sboroni”. Sii indulgente, Francesco !
Sono d’accordo con Oscar. Sono Calabrese, emigrata in GB a 7 anni, tornata in Italia a 22; per motivi evidenti di occupazione, dal ’76 vivo in Lombardia. Non ho un accento Calabrese e quando mi reco nella mia terra natia, per l’accento, sono considerata “polentona” e straniera, e da tale trattata, a volte bene e a volte male. Mio marito si ingegna a parlare dialetto Calabrese, per far capire che non intendiamo essere presi per i fondelli. Alla fine anche chi, causa forza maggiore, se n’e’ dovuto andare, si sente straniera in casa sua e guardato come un traditore della sua terra o come descritto da Lei.
Anche se il messaggio dell’articolo lo capisco e posso condividere in parte, avendo vissuto all’estero e avendo parenti emigrati in nord america che portano avanti l’immagine dell’Italia, con lustro, credo che non sia un bene generalizzare. La puzza sotto il naso ce l’hanno anche tra abitanti di borghi vicini, al sud come al nord. Tra la “citta’” e il piccolo paesuccio di origine contadino… Diciamo che e’ una specialita’ Italiana quella di volersi differenziare e sentirsi superirore. D’altronde l’Italia e’ l’unico Paese che conosco dove bisogna dare del dottore ai laureati e se ti sei fatto da solo e non hai il dott. davanti al nome, il valore non e’ lo stesso. In GB i dottori sono i medici… Senza nulla togliere ai laureati che si meritano il titolo di studio, mi sono accorta che in qualsiasi ambiente, anche nel volontariato, conta se alla presidenza c’e’ un laureato o meno, conta come si viene considerati dall’establishment.
Siamo in Italia, che sia l’Italia del sud o l’Italia del nord, poco cambia.
oppure l’inverso che vuoi andare al sud e ti mettono prezzi per affittare case come se dovessi andare a montecarlo e senti discorsi del tipo e ma lui è al nord ha i soldi …
Francesco, mi dispiace che tu frequenti solo questo “tipo” di emigrati e che abbia dovuto arrivare fino negli USA per incontrare qualcuno “assolutamente normale” che non si comporti come tu descrivi.
Io sono “fuori” dal 2007, prima in Spagna e ora in Germania. Conosco italiani di tutte le estrazioni sociali e ogni tipo di lavoro in Spagna, Germania, Francia, UK.
Non ho MAI sentito/assistito a nessuno degli atteggiamenti da te descritti.
La prossima volta che vieni a Berlino, fammi sapere così ti presento gli italiani “normali” all’estero 😉
Ciao Oscar, grazie per il commento. Il paragone è tra italoamericani di origine meridionale e meridionali che vivono nel Nord Italia; sono sicuro che in Spagna, Germania, Francia e Regno Unito la mentalità degli emigrati è più vicina a quella degli italoamericani (cosa positiva) anche se non ho mai avuto l’occasione di conoscere bene quelli come te che sono andati in altri paesi d’Europa. Purtroppo ho notato che gli atteggiamenti più strani sono caratteristici degli emigrati che rimangono nei confini nazionali e vanno in Lombardia, Veneto, Piemonte, etc.
TLR – Francesco