La politica ha fallito, ma quale alternativa ha la popolazione?

Questo articolo è uscito sul mensile Il Lametino lo scorso 5 maggio 2012. Potete trovarlo anche sul blog GSI. Per maggiori informazioni circa la presenza dell’articolo su entrambi i siti, si consiglia la lettura della FAQ.

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Siamo nell’era dell’antipolitica.

La notizia è ormai di dominio pubblico: l’Italia è entrata nell’era dell’antipolitica. L’indignazione dei cittadini è alle stelle, le buste paga dei parlamentari fanno infuriare gli italiani che non riescono ad arrivare alla fine del mese e sono anni ormai che si parla sempre degli stessi problemi senza mai trovare una soluzione. Questo cancro interessa la politica italiana in tutte le sue dimensioni: politica nazionale e politica locale fanno a gara a chi danneggia di più quest’Italia già martoriata dalla crisi. E’ l’era dei pregiudizi che riguardano l’uomo politico, interessato a sistemarsi per la vita in poco tempo alla faccia di chi lavora per decenni e poi, all’improvviso, si ritrova a casa senza lavoro e con una famiglia da mantenere. Le battaglie per la moralità che i politici combattono sono chiaramente fasulle, figlie della necessità di attaccare gli avversari e di autopromuoversi come “salvatori delle tradizioni”, il tutto ovviamente a fini elettorali, cercando di accalappiare qualche voto in più. Nel mondo della rete il vero ed il falso sulla classe politica si mischiano, alimentando i pregiudizi: circolano e-mail e link “rivelatori” su vitalizi, indagini in corso, stipendi e altre cose, e circolando si caricano di inesattezze, frutto dell’insofferenza generale, e poco importa se il “prodotto finito” di tale processo non riporta il vero: quello che conta è che la figura del politico è diventata, probabilmente, la più disprezzata in assoluto. La politica ha fallito, serve un’alternativa o, almeno, qualcosa che l’aiuti a risollevarsi in questo periodo di crisi, accompagnandola passo dopo passo e correggendola in caso di errore. Un tempo, le cose non andavano così: fino a qualche anno fa, la concezione di uomo politico era completamente diversa, e con un po’ di pazienza è possibile trovare tutta la documentazione relativa a fatti di rilevanza politica accaduti anni fa che oggigiorno potremmo soltanto sognare. Per esempio, c’è chi ricorda la reazione dell’ormai defunto Oscar Luigi Scalfaro nel ruolo di ministro dell’Interno di fronte alle pressioni continue di un deputato particolarmente interessato a far cambiare un articolo del Codice di procedura penale: “Avvocato, abbia pazienza, mi dica quale processo vuole sistemare. Così magari ci mettiamo d’accordo e la facciamo finita.” Erano gli anni Ottanta del secolo scorso, anni in cui il popolo era ancora capace di indignarsi di fronte ai politici che a tutto pensavano tranne che agli interessi del Paese, anni in cui le critiche vere alle nefandezze della politica italiana, come dimostrato da Scalfaro, potevano venire anche dal mondo politico stesso. Erano tempi che i giovani non possono neanche rimpiangere perché non li hanno vissuti.

Una delle cose che gli animalisti contestano durante le loro battaglie contro la vivisezione è l’inutilità nello sperimentare cure contro malattie con tempi di sviluppo lunghi (e.g., 10 anni) in animali che vivono molto di meno (e.g., 3-5). Come si sa, il modus operandi degli animalisti è abbastanza discutibile e le loro stesse idee sono spesso e volentieri oggetto di critica, ma in questo caso il pensiero di fondo ha un fondamento logico e si può applicare con un margine di sicurezza ragionevole anche alla politica italiana. Ci aspettiamo che un politico riesca, in circa 5 anni, a risolvere problemi che in realtà richiedono 10 anni per essere risolti con grandi sacrifici ed investimenti e un’attesa di altri 10 anni per poter vedere i frutti del lavoro svolto. Quello che dobbiamo capire, invece, è che il politico ai grossi problemi, quelli più impegnativi, neanche ci pensa, e che quello che fa interessa un lasso di tempo ridotto, quanto basta per assicurarsi i voti che servono per mantenere la poltrona. Intanto i cittadini, ammaliati dalle false promesse, aspettano invano la concretizzazione delle idee rivoluzionarie che mai arriverà, e tutto ciò è molto triste da constatare perché nessuno meglio di un cittadino conosce i veri problemi del territorio e vorrebbe che qualcuno li risolvesse. Il semplice cittadino ha idee nobili, frutto della volontà di vivere in un posto migliore, non di mantenere una poltrona, e sa pensare al futuro: al contrario del politico di turno, che parla come se il mondo finirà tra 5-10 anni, riesce a parlare coi figli del mondo che sarà tra 30, 40, 50 anni, quando loro saranno grandi. E’ pensando a queste cose che si dovrebbe fare l’antipolitica vera: integrando le critiche alla politica a riflessioni sulle alternative che si hanno di fronte. Anziché vedere sempre i soliti alti papaveri in occasione di convegni ed inaugurazioni, sarebbe bello vedere i semplici cittadini che, con raccolta di firme, lettere, iniziative, pressioni, sono riusciti a dare alla città qualcosa che possa aiutarla nel suo sviluppo, qualcosa diconcreto in un mare di parole. Il cittadino deve imparare a fare politica nel senso più appropriato del termine (ossia occupandosi della polis, della città), impegnandosi per la collettività senza aspettare che qualcuno lo faccia per lui, organizzandosi in associazioni apartitiche e proponendo idee; un’altra cosa che il cittadino deve saper fare è esprimere comunque una preferenza durante le elezioni, votando almeno per il “meno peggio” e dando alle elezioni democratiche l’importanza che meritano. E’ utopia? Non esattamente: si tratta di cose che in altri Paesi sono la normalità e che per poterle applicare in Italia non c’è bisogno di una legge o di una rivoluzione. Far nascere dal nulla un’associazione volta a risolvere i problemi di una determinata area, il più delle volte, non costa nulla: l’unico vero limite è la disponibilità dei cittadini (lavoro e famiglia permettendo, dunque). Chissà, migliorare la città in cui si vive potrebbe diventare un hobby molto utile, un modo serio per conciliare l’utile e il dilettevole. D’altronde, come disse Bertolt Brecht, “se il popolo non fa il suo dovere, il governo lo scioglierà e ne eleggerà un altro.” Domanda: siamo già stati sciolti, siamo in fase di scioglimento, o abbiamo ancora una possibilità di rimboccarci le maniche e salvarci?

Francesco D’Amico

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