Cosa significa per una donna avere un tumore al seno?
Quando da bambina mi domandavano cosa volessi fare da grande, io rispondevo la “Donna”. Ci sono grandi donne che spaziano in tutti i settori – scienza, arte, letteratura, ingegneria, musica, cinema – e in tutte le epoche, potremmo portare esempi come Maryam Mirzakhani che ha messo una pietra sopra agli stereotipi sulle donne e le materie scientifiche vincendo la Medaglia Fields nel 2014, il più prestigioso premio mondiale per la matematica; Margaret Bulkey, che si finse un uomo per 56 anni pur di fare il medico nell’esercito inglese nel 1865, quando alle donne non era concesso. Esiste un gruppo, purtroppo ampio, di donne che hanno “ dovuto ricominciare”, ricostruendo loro stesse, affrontando una malattia oncologica con l’intervento e le terapie che ne conseguono: il tumore al seno, allontanando la nostalgia per le donne che erano, per la loro femminilità e la menopausa precoce a causa della chemio. Comparando la caduta dei capelli e l’asportazione di un seno, come mancati simboli di femminilità e seduzione. La paura e l’angoscia di fronte alla notizia di avere il cancro sono reazioni naturali ma non certo facili da gestire. L’intervento chirurgico modifica una parte del corpo visibile della donna, parte che per lei rappresenta tre grandi temi della vita: la femminilità, la maternità, la sessualità. Molte donne, inoltre, si preoccupano dell’immagine sociale, ossia del fatto che l’intervento, più o meno mutilante, possa influire negativamente su ciò che gli altri pensano di loro. Quindi, accade che il mutamento dell’assetto corporeo, della propria qualità di vita, della propria immagine esterna, della propria intimità e non ultima la paura del cancro possano creare uno stato di depressione e sfiducia nel futuro.
È importante ogni singola testimonianza delle eroine che stanno lottando o hanno vinto. Dalla testimonianza di Gioia Locati:
Nell’ottobre del 2007 la batosta: scopro di avere un tumore al seno, un tu-mo-re. Lo sillabavo per digerirlo meglio ma restava sempre una camionata in faccia. Uno di quegli scossoni che prima ti stordiscono e poi, quando la consapevolezza riaffiora, ti lasciano appiccicati addosso strati di paure, quasi una seconda pelle. Io alternavo momenti di rabbia ad altri di assoluto rifiuto: insabbiavo cartelle mediche e pensieri, non ne parlavo con nessuno. Da allora la mia vita è cambiata profondamente e non solo per gli interventi e le cure: chemio, radio, pastiglie, punture. Mi sono inventata interessi per restare a galla, mi sono aggrappata ai miei grandi amori, la famiglia prima di tutto, gli amici, il lavoro che ho potuto riprendere part-time, piano piano ho messo nell’angolo i fantasmi, ogni tanto li tiro fuori, uno alla volta, ma solo per metterli al tappeto. Da quando ho finito le cure e vivo “fra color che son sospesi” ho sempre pensato di trovare un modo per aiutare chi è ancora nel tunnel.
La malattia è uno dei modi in cui la vita “toglie il tappeto da sotto i piedi”. Arriva sempre nel momento sbagliato, interrompendo bruscamente progetti e speranze. Spazza via di colpo un’agenda di appuntamenti, incombenze, impegni di lavoro, cene con gli amici. Per un periodo, che può essere anche piuttosto lungo, sembra che il ritmo della vita normale sia sospeso e che non ci sia spazio per altro che per la malattia. Ci si può rendere conto di essere molto più forti di quello che si credeva, si possono rivedere le priorità della propria vita, e si inizia a scoprire il valore di cose spesso date per scontate. È molto complesso per una donna gestire la menomazione risultante da un intervento al seno: insieme al tumore, infatti, sembra che sia stata asportata anche l’immagine di sé. La cancellazione, o comunque la minaccia, a una parte del corpo che culturalmente rappresenta la femminilità in tutte le sue accezioni (materna, erotica, simbolica) può generare un sentimento di crisi dell’identità, un senso di perdita irreparabile e di rabbia. Inoltre, la paura delle conseguenze fisiche delle terapie amplificano questa sensazione di perdita di controllo sul proprio corpo. Sono sentimenti condivisi più o meno da tutte le donne, normali reazioni a un evento forte e traumatico. Essere donna non dipende dalla grandezza del seno. È importante rimodellare la percezione di come vedere se stesse. Partire da quello che si è, utilizzando quello che si ha, facendo quello che si può, tenendo conto delle infinite possibilità. La vita non è trovare se stessa. La vita è creare se stessa, metti il tuo nome più spesso nell’agenda degli impegni e non lesinare su tempo concessoti. Sei Donna dentro, non fuori.
Maria Chiara Mangiavillano