Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 233) il 29 aprile 2017.
Quando la canzone italiana racconta una stagione maledettamente oscura
Un paese in guerra col destino, tra condottieri musicali e personalità politiche sotto Tangentopoli. É l’esito di un laborioso e meticoloso lavoro di ricerca condotto da Stefano Savella, redattore editoriale freelance, pubblicista e blogger, che ci presenta “Povera Patria. La canzone italiana e la fine della Prima Repubblica”, pubblicato da qualche mese dalle Edizioni Arcana.
Partendo da un titolo sicuramente di grande effetto, non solo per chi ama la propria patria ma anche per chi adora la musica, l’autore ripercorre – in questo suo secondo libro – una delle stagioni più note e tormentate della vita politica italiana. Il tutto, però, riverberato nei testi delle canzoni dei primi anni Novanta, tra le quali spicca appunto “Povera Patria” di Franco Battiato, che ne diventa titolo e codice etico dominante. Ben documentato sul tumultuoso clima politico, che parte nel febbraio 1992 con l’arresto di Mario Chiesa e l’avvio della stagione di Mani Pulite, tra un Partito Socialista e una Democrazia Cristiana fortemente colpite dagli “avvisi di garanzia”, l’autore riscopre alcuni brani impegnati di diversi cantautori e di alcune band. Inutile confermare quanto sia stata forte l’ispirazione, tra le note inchieste della magistratura e i drammatici attentati di mafia, atta a definire un problema grave e amaro che sconvolge l’opinione pubblica di quegli anni. Si tratta allora di una scelta quasi obbligata per Savella, che si dimostra fan di Battiato nell’aver sentito – e mai dimenticato – alcune frasi quali “ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?”. Stefano Savella, infatti, sulla scia di un percorso narrativo simile a quei romanzi pieni di dettagli, inquadra un periodo musicale che va da poco prima del 1992 fino al 1994, anno in cui Silvio Berlusconi vince le elezioni.
Stefano Savella non è un critico musicale, ma un grande appassionato di storia contemporanea, che si è espresso già in altre occasioni sul periodo di Tangentopoli e scrive con ragion veduta dei fatti. Leggere questo libro vuol dire ricordare questi anni partendo dal 1992, annus horribilis per tutta la politica italiana, tra la svalutazione della lira sui mercati europei e le monetine lanciate contro Bettino Craxi. E questa aria spaventosa e pesante si respira anche tra i big della canzone italiana, affrontata scrupolosamente nei testi ad ampio raggio, passando da un album come “Canzoni d’amore” di Francesco De Gregori per arrivare a “Terremoto” dei Litfiba. Non mancano altresì il già citato Franco Battiato, oppure “Il Teatro canzone” di Giorgio Gaber o ancora Jovanotti, Enzo Jannacci, Francesco Guccini e perfino Elio e le storie tese. Immancabile è, poi, l’Antonello Venditti che realizza la famosissima “In questo mondo di ladri”, presentata un po’ prima dello scoppio di Tangentopoli e che diventa addirittura una specie di inno in una manifestazione del Movimento Sociale Italiano a Milano, che Gianfranco Fini traghetterà in Alleanza Nazionale dopo qualche anno.
Si dice che i migliori si mettano al servizio della posterità, ma la bravura dell’autore in questo caso non si dimostra solo nel ricreare l’atmosfera di quegli anni, semmai nella capacità di riscoprire impensabili cantanti italiani dediti all’amor civico. É il caso di Francesco Baccini, che non è l’esempio più calzante di un cantante impegnato e che scrive “Giulio Andreotti”, dedicata ovviamente all’onorevole Giulio Andreotti, sicuramente in maniera satirica ma anche molto amara. Particolare è l’album “Morandi Morandi”, che il Gianni nazionale presenta proprio nel 1992 con molti brani duri contro la politica e i politici. Molto diretta una canzone che i Pooh scrissero, dal titolo “In Italia si può”, presentando un paese nel quale era concessa qualsiasi malefatta senza rischiare mai nulla, dove si stava comunque bene e si andava in pensione a vent’anni. Tutti questi pensieri spesso fuggenti – ma pur sempre presenti con un amaro sospiro – sono la maestria di Francesco De Gregori in “Adelante! Adelante!”, un testo graffiante e fecondo di allusioni perfette per l’Italia degli scandali di quegli anni.
Un libro utile alle riflessioni di quell’elettorato attuale – spesso indignato o falsamente indignato – ma che tutto sommato crede di vivere qualcosa di nuovo e inconsueto, mentre potrà meditare sulla classica “teoria dei corsi e dei ricorsi storici” nella certezza di una memoria esausta. Esistono libri che devono essere letti esclusivamente per aumentare le proprie conoscenze, libri che non danno una sempre reale utilità nel breve periodo, ma non è questo il caso. Stefano Savella è utile, forse molto utile, nel comprendere quanto sia povera questa patria.
Antonio Mirko Dimartino
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