Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino (n. 223) il 19 dicembre 2015.
Proviamo in ultima analisi a raffrontarci con quelli che sono i dati numerici
Nel 2013, 3.4 milioni di persone sono immigrate in uno degli Stati membri dell’Unione Europea, con la cifra che è aumentata del 35% nel 2014 ed ancora di più nell’anno in corso. La Germania ha registrato il numero più elevato di immigrati (692.700) nel 2013, seguita dal Regno Unito (526.000), dall’Italia (332.600), dalla Francia (307.500) e dalla Spagna (280.800). Si comprende dunque come per il nostro Paese particolarmente gravose non sono soltanto le spese per la sistemazione degli immigrati che rimangono nel territorio nazionale, ma anche le spese per i bisogni di prima necessità, medici, di controllo e di pattuglia del mare, essendo il nostro il principale punto di sbarco per i migranti.
Nel 2013 sono state 984.800 le persone che hanno acquisito la cittadinanza di uno Stato membro dell’UE, cifra aumentata del 40% nel 2014 e destinata a crescere anche per l’anno in corso. In relazione alla cittadinanza bisogna segnalare il progetto ideato dall’ex ministro Kyenge del cosiddetto “ius soli”, ovvero la concessione della cittadinanza italiana per il sol fatto di nascere all’interno del territorio nazionale. L’applicazione “pura” della norma sarebbe certamente dannoso, poiché trasformerebbe la già difficile immigrazione-integrazione italiana in una corsa all’imbarco di donne in procinto di partorire, che giungerebbero qui al solo scopo di dar luce ai bambini in Italia e fargli acquisire la cittadinanza. I sostenitori di questa norma, certamente, non hanno pensato alle distruttive implicazioni giuridiche (l’impossibilità eventuale di espellere i genitori del nato cittadino italiano, i problemi derivanti dalle richieste di ricongiungimento familiare che arriverebbero a pioggia, i problemi derivanti da persone poligame il cui status non avrebbe riconoscimento nel nostro Paese), alle proibitive spese da affrontare per coprire le garanzie costituzionali, ai problemi internazionali (il cittadino di uno Stato membro è libero di spostarsi nell’Unione.)
L’immigrazione sembra, inoltre, essere di recente intrecciata con il fenomeno del terrorismo-fanatismo religioso. Pur non volendo cadere negli errori che si fanno generalizzando, specificando che gli estremisti islamici sono una minoranza e non perseguono i veri valori dell’Islam, è chiaro che la strategia adottata dal Califfato islamico (isis, daesh, chiamatelo come vi pare) è quella di infiltrare attraverso l’immigrazione potenziali attentatori. Si è visto quanto spiacevoli gli eventi possano diventare (i terroristi che hanno colpito in Francia erano cittadini francesi, seppur di seconda generazione). La concessione della cittadinanza, e dei diritti-doveri che ciò comporta, dovrebbe essere attentamente soppesata e non messa alla mercé di slogan politici o idealismi. La definizione ideale del problema, infine, sarebbe l’integrazione: esse viene definita come l’insieme dei processi sociali e culturali che rendono l’individuo membro di una società. Il Paese d’arrivo deve essere certo aperto e flessibile per consentire un processo integrativo veloce ed agevole, ma l’integrazione dipende anche e soprattutto dall’individuo stesso: bisogna dunque non solo conoscere lingua, leggi e tradizioni dello stato, ma anche saper osservare quei concetti di libertà, dignità e tolleranza diventati propri del “mondo occidentale” a seguito dell’illuminismo; concetti che, purtroppo, non appartengono al mondo arabo non investito dal fenomeno, e sono dunque difficili da comprendere e metabolizzare.
Paolo Leone