Il museo Marca di Catanzaro presenta una mostra suggestiva che racconta, tra luci e colori, le emergenze legate alla sostenibilità ambientale
Chiara Dynys, artista fra le più quotate nel panorama dell’arte contemporanea italiana, è stata in questi giorni la protagonista di “Pane nel mondo”, una mostra dedicata al simbolo per eccellenza del cibo e dell’alimentazione.
L’intero percorso prende forma e si rafforza nell’anno di Expo e si guarda al cibo non solo come elemento di sostentamento, ma si esaltano altri aspetti quali la biodiversità e la sostenibilità ambientale.
Oltre cinquanta opere, realizzate negli ultimi anni, sono state esposte al Museo Marca di Catanzaro (dal 10 luglio al 9 settembre) grazie all’iniziativa dell’Amministrazione Provinciale di Catanzaro e della Fondazione Rocco Guglielmo, ed inoltre vi è stata un’importante collaborazione con il Museo Carlo Bilotti di Roma.
Chiara Dynys è un’artista lombarda che, si ricorda, ha partecipato a numerose mostre sia personali che collettive in importanti musei e istituzioni culturali pubbliche e private.
Allo stesso tempo,l’artista contemporanea è molto vicina alla nostra Calabria, come dimostrano le sue mostre alla Fondazione Rotella, la sua presenza nella collezione permanente del MAB di Cosenza, città per la quale sta preparando un’opera che verrà collocata in Piazza Bilotti, e il progetto per un’installazione pubblica presso la sede dell’Università della Calabria ad Arcavata, frazione del comune di Rende.
Il percorso al Marca rivela e svela il messaggio che Chiara Dynys vuole trasmettere allo sguardo di chi di osserva. Ciò che attrae la mente è certamente l’uso di materiali eterogenei che ben si fondono con altri linguaggi, quali la fotografia.
L’idea di voler aprire una riflessione sul tema della nutrizione è nata nel 2011, dunque ancor prima che questo diventasse il claim di Expo: un’intuizione che si è sviluppata dal tema sulla fragilità e per questo l’artista si è concentrata sul nutrimento inteso in senso fisico ed intellettuale.Luci, colori, illusione, fragilità, realtà sembrerebbero essere gli strumenti principali per esprimere un continuo passaggio.
Ad accogliere lo spettatore è “Tenda di luce”, che proietta la mente e lo sguardo ad aprirsi sul concetto di casa inteso come serra e nido pronta ad accoglierci. Inevitabilmente, l’attenzione viene successivamente rapita da”Pane al Mondo”, 364 forme di pane in alluminio di dimensioni variabili. Il pane, inteso come elemento di nutrimento, fa riflettere sulle emergenze alimentari e sulla disparità fra paesi ricchi e paesi poveri. In tal senso il pane pesa su ogni Paese rappresentato dal tappeto ellittico (realizzato in Oriente) istoriato con l’immagine del planisfero.
“Love Hate”, la calda luce rossa si oppone a quella bianca; il sotto al sopra; i due opposti sembrano rincorrersi volteggiando in una spirale infinita portando ad un disorientamento da parte di chi osserva.

“Love Hate”, 2011- Acciaio e luce, 200x95x20 cm ca. “Pane al Mondo”, 2012- 364 forme in alluminio, tappeto di lana 200x400x40 cm.
Continuità di linguaggio ma non di stile per ammirare “PoisonedFlowers”,la serie con i fiori sbocciati in un ideale giardino dell’Eden. Le immagini sono state fotografate dall’artista e attraverso il ricorso alla stampa lenticolare appaiono e scompaiono davanti allo spettatore, realizzando un gioco di apparenze e dissolvenze. Ancora una volta, luci e colori instaurano un dialogo magico tra occhio e mente.
“Accampamento dei fiori” rappresenta l’evoluzione scultorea di “PoisonedFlowers”. Si tratta di una serie di tende (realizzate in fusioni di metacrilato) che ospitano una coppia di fiori realizzati nello stesso materiale e nello stesso colore della tenda in un gioco di trasparenze e smaterializzazione. I fiori al suo interno da una parte sono protetti dalle insidie esterne, ma, dall’altra sono aggrediti e soggetti a trasformazioni.

“Accampamento dei fiori”, 2015- Fusione di metacrilato colorato 60x40x40 cm.
“Tutto”. Tutto e Niente e Whole Hole creano uno spazio in cui gli opposti si incontrano. Questi libri che richiamano alle trasparenze, colori, luci e ombre rappresentano un contenitore di idee che ciascuno può immaginare.
La contrapposizione fra il tutto e il niente si ritrova nei “Solidi Platonici”, solidi regolari composti da facce tutti uguali fra loro. Quest’opera riprende le teorie di Platone, essi sono la rappresentazione di quel ponte che unisce il disordine della Natura con la perfezione dell’Iperuranio, l’armonia dell’Universo. Per ciascun solido è accostato un elemento: il tetraedro è il fuoco, il cubo è la terra, l’ottaedro rappresenta l’aria e l’icosaedro l’acqua, il dodecaedro rappresenta la forma dell’universo.

“Tutto”, 2015- Fusione di metacrilato colorato, 60x40x10 “Solidi Platonici”, 2015- Solidi in fusione di acciaio diametro 25 cm.
Il percorso al Marca è fondamentalmente un invito alla riflessione e probabilmente lo spazio più suggestivo è la “Gabbia d’Oro”. Si, la gabbia diventa uno spazio in cui chi osserva si riflette imprigionato. Attraversare quella soglia significa compiere un primo passo verso il rinnovamento. Al contrario noi, rappresentati dalla nostra stessa immagine riflessa siamo aggrappati alla quotidianità e all’abitudine che, mattone dopo mattone, innalza su di noi una prigione.

“Gabbia d’Oro”, 2009- Ottone dorato e acciaio, 20x20x50 cm ca.
La mostra di Chiara Dynys crea un ambiente molto suggestivo in quanto il gioco di luci, ombre, trasparenze e colori si fonde e si confonde con l’eterogeneità dei materiali e dei linguaggi. Inoltre, da una parte lo spettatore si confronta con temi attuali quali l’emergenza alimentare e la sostenibilità ambientale, chiamato a riflettere sulle scelte future; dall’altra parte chi osserva ha uno spazio per riflettere su se stesso, sulla possibilità di riempire le pagine della vita con sogni ed idee, e di poter fuggire dalla propria gabbia d’oro oltrepassando la soglia di una stretta abitudine per ricercare il rinnovamento di sé.
Martina Pirrone