Questo articolo è uscito sul Quotidiano della Calabria lo scorso 23 ottobre 2013.
La recente richiesta di stato di predissesto finanziario avanzata dal Comune di Rende ha causato lo sdegno di molti, soprattutto di quanti già in passato erano stati acuti osservatori del lento e progressivo abbassamento della qualità della vita nel territorio comunale. Il motivo dello sdegno va ricercato nei 13 milioni di debito accumulato, poca cosa – tutto sommato – per un territorio ricco e sviluppato come quello rendese, ma evidentemente troppi per gli amministratori in carica, tanto da convincerli a gettare la spugna prima ancora di tentare di abbozzare una qualunque strategia di rientro del debito. E mentre la cittadinanza è alla deriva di sé stessa in attesa delle prossime elezioni comunali, l’intera vicenda ha perlomeno il vantaggio di chiamare a raccolta le persone di buona volontà, perché ognuno possa contribuire alla res publica con il proprio bagaglio di competenze, esperienze e proposte utili a superare l’attuale situazione di stallo. Il momento che si sta vivendo è delicato ma non critico. Il debito è gestibile e può essere facilmente ripianato. Con mosse tempestive e con la dovuta cautela si potrà evitare che un piccolo problema locale si trasformi in un grande danno per l’immagine dell’area urbana.
Ma da dove cominciare? Per dirla con Ernest Hemingway ne “Il vecchio e il mare”, ora non è il momento di pensare a ciò che non si ha, occorre invece pensare a ciò che si può fare con quello che si ha. Ma cosa è ciò che abbiamo? Certamente si ha un gran numero di proprietà a garanzia dei mutui contratti in passato, ma la prospettiva di venderle (soprattutto nell’attuale fase sfavorevole di mercato) equivale a privare la cittadinanza del capitale faticosamente accumulato in decenni di prudente amministrazione. Quindi, una proposta oggettivamente non accoglibile, ancor più perché i cittadini non sono stati interpellati sulla possibile destinazione di beni comuni. Cos’altro rimane? Un aiuto considerevole potrebbe venire dall’Università della Calabria. La mia personale esperienza universitaria mi ha messo in contatto in questi anni con un gran numero di persone incredibili – molte delle quali calabresi di nascita, altre di adozione – che hanno saputo affermarsi nei rispettivi campi di insegnamento per la qualità dei loro contributi e per le ricadute che le loro ricerche hanno sulla vita degli altri. L’originalità dei loro studi consiste nell’aver saputo individuare delle leve di intervento strategiche a partire da aspetti apparentemente marginali o trascurabili del reale che ci circonda. Mi permetto di ricordare in questa sede alcuni colleghi con i quali ho avuto modo di relazionarmi a vario titolo nell’ambito delle mie ricerche sui temi della sostenibilità economico-ambientale. Per esempio, Sebastiano Candamano, pioniere nelle ricerche su materiali da costruzione innovativi, quali malte e composti geopolimerici contenenti – ad esempio – residui di combustione di biomassa o fibre di basalto, una roccia effusiva di origine vulcanica. Se si considera che tali materiali sono ottenuti da fonti riciclabili o da scarti di produzione industriale, si intuisce la dimensione dell’impatto economico, sociale ed ambientale che questi studi produrrebbero sul nostro territorio, sia in termini di riduzione dei consumi di materie prime che di risorse naturali, come acqua ed energia. Ricordo anche Filomena Conforti, che sta conducendo ricerche molto innovative sulle proprietà fitochimiche delle piante officinali calabresi, nella prospettiva di un loro utilizzo industriale e di valorizzazione farmaceutica. Piante come il fico d’india o l’aloe, tipiche della vegetazione mediterranea, ma per lungo tempo considerate dalle nostre parti “prive di valore”, stanno rivelando proprietà salutistiche di assoluto rilievo, tali da accendere l’interesse di grandi industrie nazionali ed estere. Oppure Alfredo Aloise, con il quale sto conducendo esperimenti avveniristici volti a dimostrare la possibilità di produrre bio-diesel dagli scarti di lavorazione del caffè, con un rendimento testato – al momento – più che doppio rispetto ad analoghi esperimenti condotti negli USA. Se si considera che gran parte di questi scarti di lavorazione è trattato alla stregua di rifiuti speciali, si comprende come la loro valorizzazione contribuisca a disinnescare la bomba ad orologeria rappresentato dalle discariche, e a far risparmiare un considerevole ammontare di denaro tanto all’industria della torrefazione quanto ai contribuenti. Questi pochi esempi vogliono dimostrare che la nostra Università può contribuire a pieno titolo al dibattito pubblico, aiutando a creare posti di lavoro in settori innovativi in grado di disinquinare i nostri territori, invece dell’alternativa – purtroppo tristemente nota – di tenere in vita preziosi posti di lavoro in settori che tuttavia inquinano l’ambiente.
E’ il momento di scegliere da che parte stare, ma soprattutto di decidere che vita vogliamo vivere. Ho volutamente citato giovani colleghi, poiché si sappia che dietro di loro ci sono maestri che hanno saputo trasmettere passione per la ricerca e rigore scientifico. E’ di figure così che le nostra società ha bisogno, persone che rappresentano degli esempi di eccellenza da cui trarre ispirazione. Se solo si consentisse maggiormente all’Università, o ad altri accreditati istituti di ricerca, come anche a fondazioni ed associazioni non-governative serie, di affiancare le amministrazioni comunali nella risoluzione dei problemi del settore pubblico, assisteremmo ad un’ondata eccezionale di innovazione, a significativi aumenti di produttività e ad un sostanziale risparmio di risorse tramite cui ripagare i debiti contratti. Produrremmo cioè molte più cose in minor tempo, con minore fatica e a fronte di un impiego irrisorio di dotazioni di capitale. Le nostre stesse vite risulterebbero cambiate, in meglio, perché aggiungeremmo maggiore sostenibilità al nostro modo di vivere e qualità al nostro tempo speso su questo territorio. Accantoneremmo i progetti faraonici, il cui unico scopo è quello di celebrare la vanagloria di pochi, e concentreremmo le nostre migliori energie sulla realizzazione di progetti solidi e concreti, capaci di generare vero sviluppo e, soprattutto, occupazione stabile.
L’innovazione è a portata di mano, basta volerla. Per esempio, un’esperienza simile (denominata Entrepreneur-in-Residence) è già stata realizzata con apprezzabili risultati nella città di San Francisco, dove il sindaco ha deciso di coinvolgere gli imprenditori locali nella risoluzione dei problemi della municipalità, chiedendo loro di fornire informazioni sulle loro innovazioni di maggior successo e su come queste possano contribuire a risolvere i problemi di interesse comune.
Rende non ha nulla da invidiare a San Francisco. Terreni fertili, una natura rigogliosa ed un’università di respiro internazionale sono ciò che abbiamo e su cui poter contare per uscire dal guado. Se queste risorse lavoreranno all’unisono, non deluderanno le aspettative.
Matteo Olivieri