L’italianità e l’incoerenza allo stato puro: il caso Alitalia – Air France

La compagnia già di bandiera passa ad Air France – KLM: si tratta dell’ennesimo “furto” all’Italia, eppure…

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Restyling di un Boeing 777 di Alitalia, magari nella realtà fossero così belli! Fonte: AeroDream Design.

I più pessimisti accolgono la notizia con un sonoro “scandalo!” come commento, inserendola in un contesto nazional-catastrofico che comprende anche il passaggio di Telecom Italia agli spagnoli. A distanza di cinque anni, da quando la prima intesa col gruppo Air France – KLM è fallita, per Alitalia, la compagnia italiana già di bandiera, si preannuncia nuovamente un futuro francolandese.

Per Carlo Stagnaro dell’Università di Genova e dell’Istituto Bruno Leoni non è una tragedia, anzi:

“Il beneficio è implicito nel fatto che l’azionista vecchio non vuole più tenere Alitalia, mentre c’è un potenziale nuovo azionista che evidentemente dimostra di credere di poterci cavare qualcosa di buono.”

Tanti altri, tuttavia, hanno una visione pessimistica dell’intera faccenda. Questi “scippi” all’Italia vanno di moda, e va ancora più di moda parlarne definendoli l’inizio della fine del Bel Paese. Nessuno, però, sta facendo notare alla popolazione due grandi contraddizioni che caratterizzano questo “furto”.

La prima contraddizione non è difficile da immaginare: si parla tanto di investimenti esteri, si cercano sempre colossi stranieri intenzionati ad investire in Italia… quando ciò non accade, l’Italia e gl’italiani sono incapaci di inserirsi con efficacia nel che si globalizza sempre di più, ma quando accade, ecco che spunta fuori la componente pseudonazionalista e semiautarchica che, come in una nota canzone patriottica del secolo scorso, ci fa urlare “non passa lo straniero!” Ma è ovvio che, quando lo straniero investe in Italia, parte del denaro va altrove, o bisogna spiegarlo con un disegnino? Per Alitalia è la stessa cosa, o la si lascia morire come tante altre aziende italiane, o si aspetta l’intervento dall’estero, in questo caso da Parigi e da Amsterdam, e si accettano le conseguenze. Dovevate pensarci prima, ancor prima di dare alla discussa Ryanair i contributi per la “crescita” e per il “turismo”, che sicuramente hanno influito sulle perdite economiche di Alitalia CAI.

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Il colosso Air France ha aerei altrettanto colossali: questo è un Airbus A380, il più grande liner del mondo. Questa foto è stata scattata a New York JFK nel 2011.

La seconda contraddizione dovrebbe invitare i patrioti a riflettere. Come mai, all’improvviso, vi importa del destino di una compagnia aerea italiana e di tutto ciò che il passaggio ad AF-KL possa comportare per il mercato aereo italiano e, soprattutto, per i posti di lavoro in Italia? I “patriottici” italiani, anche di fronte a differenze di prezzo non rilevanti, non si fanno tanti scrupoli e per i propri voli scelgono spesso l’irlandese Ryanair e l’inglese easyJet, ignorando anche le low cost italiane come Air One, Blu-express e l’ormai defunta Wind Jet: in Italia, i voli di queste due compagnie che di italiano hanno poco, se non nulla, sono sempre pieni. Scelgono la prima, nonostante le polemiche e i suoi guai giudiziari, perché pensano solo al prezzo, non alla nazionalità degli equipaggi. Ryanair, addirittura, per alcuni è diventata la “nuova compagnia di bandiera” dell’Italia, “battendo” Alitalia. EasyJet si è anch’essa imposta nel mercato italiano e, così come Ryanair, per i suoi voli da/per l’Italia impiega tantissimi stranieri tra hostess e piloti, ma la cosa non sembra essere un problema, almeno non fino a quando non si conosce di persona un dipendente di una compagnia italiana come la stessa Alitalia, Meridiana o Blue Panorama, che rischia di perdere il proprio lavoro.

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Se gli italiani non sanno apprezzare il tricolore, come fanno a lamentarsi? Nella foto, scattata da Giorgio Varisco a Milano-Malpensa, c’è EI-EJI “Canaletto”, un Airbus 330 di Alitalia.

Viva il liberalismo, ma il vero mercato liberale non dovrebbe presentare queste contraddizioni così radicate nella testa dei consumatori. Scegliete: o ben venga lo straniero in tutti i casi, o lottiamo a tutti i costi per preservare (quello che resta de)ll’italianità. Il compromesso porta alle ingiustizie.

Dall’articolo “Ryanair vi dà il benvenuto a Stocazzemburg” che trovate su questo blog:

Alitalia ha ricevuto aiuti di Stato per decenni, perché solo nel caso di Ryanair gli aiuti non vanno bene? Ipocrita! Ma ce l’hai a morte con Alitalia? Che ti ha fatto? Allora, puntualizziamo una cosa, Alitalia era la compagnia di bandiera italiana, con gestione statale e intrecci politici tipici del nostro paese, poi privatizzata a causa dell’ormai celebre deregulation. Gli aiuti di Stato ci sono stati in pochissime occasioni, per il resto tutto rientrava nella gestione statale i cui fallimenti non erano riconducibili alla compagnia stessa ma alla politica italiana. L’Alitalia, nata come Ala Littoria in epoca fascista, divenuta Ala Italiana dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e poi cresciuta nel secondo dopoguerra anche grazie alla fusione con LAI – Linee Aeree Italiane, ha avuto una storia caratterizzata dalle scelte sbagliate di chi la gestiva e di chi, per conto dello Stato italiano, aveva il compito di gestirla. Per esempio, a causa delle pressioni dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), interessato alla sorte stabilimenti di Pomigliano d’Arco più che ai conti della compagnia già di bandiera, Alitalia è stata più volte costretta ad acquistare aerei non proprio competitivi, perdendo terreno rispetto alle compagnie concorrenti.  Anche di recente, per la decisione di acquistare 10 Embraer 175 e 5 Embraer 190 brasiliani anziché gli italo-russi Sukhoi Superjet 100Alitalia è stata criticata e non poco. A causa del cosiddetto “moltiplicatore” voluto dall’Anpac, per i piloti Alitalia erano previste 90 ore di volo al mese (normalmente per un pilota erano 100), e tutte le ore extra, moltiplicate per tre, dovevano essere scalate dalle ore del mese successivo: per esempio, un pilota con 120 ore di volo in un mese, non avrebbe volato affatto il mese successivo, costringendo la compagnia a cercare sostituti tra gli altri piloti o ad assumerne di nuovi, aumentando a dismisura i costi. I dirigenti dell’Alitalia, inoltre, hanno deciso di investire sul corto e medio raggio (Italia ed Europa), proprio quello più minacciato dalle low cost (in fondo, per i voli brevi, alcuni servizi extra come il bagaglio in stiva e la scelta del posto non sono proprio necessari), e continuano ad investire su una rotta, la Roma-Milano, nonostante la concorrenza di easyJet e dei treni ad alta velocità. Parallelamente a ciò, gli investimenti sul lungo raggio, quello più redditizio, sono minimi: l’Alitalia al momento ha solo 22 aerei per il lungo raggio (10 Boeing 777e 12 Airbus 330, poca cosa rispetto agli 80+ di Air France) e un network intercontinentale molto limitato, con ovvie conseguenze sui conti della compagnia.

Insomma, in fin dei conti l’Alitalia è stata sfortunata, ma è e rimane l’unica compagnia capace di collegare l’Italia col resto del mondo, cosa che Ryanair non potrà mai fare. Per chi volesse conoscere meglio la sua storia, segnaliamo il testo Alitalia – Ascesa e declino di Giuseppe D’Avanzo. Chiudiamo la parentesi dovuta su Alitalia con un consiglio per gli amici viaggiatori: vale la pena di notare che non sempre Alitalia è più costosa di Ryanair e delle altre low cost. Prima di viaggiare, valutate tutte le possibilità, e pensateci non due ma cinque volte prima di volare con Ryanair!

Vale la pena, inoltre, di aprire una parentesi su un altro accordo conclusosi con un nulla di fatto, che a cavallo tra il 1999 e il 2000 stava per trasformare Alitalia e KLM Royal Dutch in un vero colosso con una flotta combinata di 300 aeromobili: le occasioni perdute per salvare Alitalia prima del disastro, quindi, sono state ben due. Il “duo” AZ-KL, per poter nascere, richiedeva la trasformazione radicale dell’aeroporto di Malpensa in un vero e proprio hub, nonché in un ponte tra Italia e Olanda che avrebbe facilitato le varie operazioni congiunte delle due compagnie. A causa degli italiani, o meglio, del governo italiano, di questo progetto non si fece più nulla e KLM arrivò a chiedere 200 miliardi delle vecchie lire come risarcimento per le somme investite su Malpensa, “l’hub che non s’ha da fare”. Il colosso AZ-KL avrebbe trasportato 40 milioni di passeggeri all’anno, con una capacità doppia rispetto a quella della sola Alitalia.

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Il Boeing 737-800 di KLM con livrea speciale commemorativa. Foto di Giorgio Varisco.

Chiusa la parentesi sul mancato accordo Alitalia – KLM, e considerando non necessaria l’ennesima digressione sui fatti del 2008 che ormai tutti ben conosciamo, vale la pena di spendere qualche parola parlando del futuro di Alitalia e degli italiani che vogliono spostarsi. Per la Compagnia Aerea Italiana, purtroppo, dobbiamo aspettarci un futuro da compagnia regional, con una politica che la limiterà ai collegamenti point to point in Italia e in Europa, con pochi collegamenti intercontinentali. CAI, che vorrebbe aumentare la sua flotta lungo raggio con l’ingresso di 6 nuovi aeromobili tra Boeing 777 ed Airbus 330, forse dovrà rinunciare a tutti i nuovi wide body e ad una ventina di narrow body della famiglia Airbus 320 per i voli di medio raggio per “soddisfare” i requisiti di Air France – KLM, che vuole dirottare i passeggeri in transito per le varie parti del mondo a Parigi Charles De Gaulle (CDG) e Amsterdam Schiphol (AMS). Sull’acquisizione di Alitalia da parte dei francolandesi pende anche l’incognita Air One, la Smart Carrier di Alitalia acquisita nel 2008 (ricordiamo anche che circa l’85% della flotta Alitalia è immatricolato in Irlanda ed è proprietà della AP Holding, società che fa capo a Carlo Toto, ex patron di Air One), mentre la società di gestione di Fiumicino e Ciampino, Aeroporti di Roma (ADR), esprime perplessità sul possibile abbandono dello scalo romano Leonardo Da Vinci di Roma da parte della futura Alitalia. Parlando di incognite, quella più interessante riguarda senza ogni dubbio il fantomatico dossier Rothschild, un corposo studio di mercato che analizza la situazione generale ed individua possibili alternative al gruppo Air France. Etihad, Lufthansa, i russi, i cinesi: c’è di tutto, una lista senza fine di avvoltoi che potrebbero subentrare ai francolandesi alla prima occasione.

I posti di lavoro a rischio sarebbero circa 2.000, e stiamo parlando di personale Alitalia qualificato e con esperienza, non dei giovincelli che mandano avanti le flotte Ryanair ed easyJet. Per i passeggeri italiani, nel caso di un decentramento dei grandi aeroporti italiani come hub intercontinentali, andare fuori dall’Europa significherà passare da Parigi CDG o Amsterdam AMS, probabilmente con uno scalo in più e tutto ciò che esso comporta (stress, rischio di perdere coincidenze e bagagli, ritardi). Sul medio raggio, invece, con la riduzione della flotta, la perdita dei posti di lavoro e il dominio crescente delle low cost, potrebbe essere a rischio l’alta qualità dell full service e tutta una serie di servizi d’alto livello per i disabili, i minori non accompagnati, chi vuole stare tranquillo coi bagagli, etc.

Ringraziamo i fanboy delle low cost e i politici italiani che hanno voluto Ryanair a tutti i costi: è anche colpa loro.

Francesco D’Amico

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